Roma, 27 giugno – La storia di Marcello Fiasconaro, oriundo sudafricano, è tutto questo. Apparve dal nulla nel giugno del 1971, figlio di papà Gregorio ufficiale dell’Aeronautica italiana abbattuto e fatto prigioniero in Sudafrica durante la seconda guerra mondiale e lì rimasto al termine del conflitto per insegnare musica.
Su segnalazione di un vecchio atleta italiano che lo aveva visto correre e ne era rimasto impressionato, Marcello arrivò a Milano dove lo fecero correre in una riunione notturna di atletica leggera sui 400 metri piani senza neanche avere una divisa ed una società di appartenenza, con una maglia da rugby, suo sport di riferimento in Sudafrica. L’impatto di Marcello fù impressionante perché correre senza allenamenti specifici, su pista sintetica e non su prato verde non era cosa da poco ed il tempo fatto registrare fece drizzare le antenne ai tecnici federali.
Fiasconaro era un magnifico selvaggio, con i capelli lunghi, una barba appena accennata e, quando non correva, portava degli occhialini che gli davano anche un aria da intellettuale. Ad agosto del ’71 conquistò un argento agli Europei di Helsinki nei 400 piani in rimonta sull’inglese Jennings, con un ottimo tempo di 45’’5, ed un bronzo nella staffetta 4×400.
Era nata una stella e con l’intensificare di allenamenti mirati, si lavorò su quel motore che mostrava una potenza muscolare devastante rispetto alla struttura osseo-tendinea non sempre in grado di sostenerne il peso.
L’impresa per cui Fiasconaro è entrato nel mito è relativa al 27 giugno di 42 anni fa quando, all’Arena di Milano in un meeting contro l’allora Cecoslovacchia, disputò gli 800 metri, specialità a cui si era dedicato dopo i 400, stabilendo il record del mondo con 1’43’’7. Il suo avversario era il temibile ceco Plachy dotato di un finale micidiale. Marcello seguì il consiglio del prof. Vittori, il tecnico di Pietro Mennea, che gli suggerì di partire subito forte.Fiasconaro, in sostanza fu la lepre di se stesso ed ai 150 metri finali, schiantò letteralmente Plachy, irrompendo nel tratto finale della pista milanese sotto l’ovazione di un pubblico impazzito di gioia.
Il record del mondo non era nei programmi, tuttavia l’incedere sulla pista con quella sua tecnica primordiale fu un tutt’uno con la sua grande voglia di vincere. La falcata di Fiasconaro era un qualcosa di “meccanico”, non aveva come molti altri atleti il cambio di passo, la capacità di cambiare ritmo a seconda della tattica di gara.
Detenne il record del mondo per tre anni quando, alle Olimpiadi di Montreal nel 1976, gli venne tolto da un altro grande atleta, il cubano Juantorena, detto “el Caballo”.
Ricordo personalmente una puntata de “La Domenica Sportiva” nella primavera del 1973, prima quindi della magica serata dell’Arena, in cui fu ospite e vicino a lui sedeva Giorgio Chinaglia, altro mio grande idolo di gioventù.
Curiose erano le inquadrature “in campo lungo” dove i due atleti parlottavano tra di loro, probabilmente in inglese, magari raccontandosi le loro esperienze di emigranti ora accomunate da un simbolo unico: la maglia azzurra.
La carriera di Marcello fu molto tribolata perché, come accennato, fu falcidiato da numerosi infortuni ai tendini ed alle ossa.
Alla fine il suo percorso sportivo terminò nel 1978 a soli 29 anni dopo aver tentato, anche in Italia, un ritorno al vecchio amato rugby.
La sensazione è che se non avesse avuto i patemi fisici che lo hanno condizionato sarebbe diventato un mito al pari di Pietro Mennea ed in ogni caso ha espresso un modo di essere Campione con la semplicità del suo comportamento.