Roma, 22 febbraio 2023 – Nel 1974 Francisco Marinho era il terzino biondo che faceva impazzire il mondo.
Un terzino sinistro brasiliano, ma biondo, cosa inusuale per quel paese.
Era salito alla ribalta del calcio mondiale nella Coppa dei Mondo giocata in Germania Ovest nel 1974 (la Germania era ancora divisa in due dal muro e dalla guerra fredda).
Per le sue doti tecniche e atletiche e per le sue scorribande sulla fascia sinistra del campo, per molti Marinho è stato il primo, vero, terzino fluidificante della storia del calcio moderno.
Da lui in poi i terzini sinistri sono diventati uno degli sbocchi offensivi delle manovra d’attacco di ogni squadra e merce pregiata in sede di calcio mercato.
Marinho mordeva il campo, il pallone, la vita. Era l’hippie della nazionale brasiliana che si è piazzata quarta in quei Mondiali dopo aver perso la finalina con la Polonia e il donnaiolo del gruppo.
Una dirompente vitalità, sul campo, sessuale e nella vita che lo ha portato ad avere centinaia di donne, tredici figli da altrettante compagne diverse e un soprannome, la Bruxa, che significa “la strega”, dovuto probabilmente a quei suoi lunghi e disordinati capelli biondi.
Gli stessi che lo facevano notare più degli altri in campo (dove si sa, i biondi spiccano più degli altri) e nelle feste, che frequentava senza risparmiarsi né risparmiare sui vestiti che indossava, sempre rigorosamente alla moda.
Stile anni ’70, ovviamente. I suoi anni. Pantaloni a zampa d’elefante, maglioncini attillati con scollo a V e basettoni. I capelli lunghi li aveva di suo.
Amico di Mick Jagger, idolo di Bob Marley, narra la leggenda (o meglio, narrò lui stesso) che in una di queste serate alla moda abbia fatto innamorare anche la principessa Grace Kelly.
Ma poi, riconoscendo che lei era troppo anche per lui, si era limitato a lasciarle solo un autografo.
In quel calcio degli anni ’70, lontano anni luce da quello di oggi, Marinho diventa una star.
Tutte lo vogliono, tutti lo cercano e lui non si nega a nessuno e a nessuna (a parte Grace Kelly).
Cinema, casinò, locali notturni, macchine decappottabili, lusso, soldi e libertà nei comportamenti. In campo e fuori.
Come nella finale per il terzo posto del suo Mondiale (sempre quello del ’74), nella quale si dimenticò di marcare il polacco Lato perché era troppo preso dall’andare all’attacco.
E alla fine, negli spogliatoi, il portiere del Brasile Leao, un tipo completamente diverso da lui, tutto ordine e disciplina e amico dei dittatori che comandavano il Paese, sembra che lo abbia attaccato al muro.
Fluminense e Botafogo sono le squadre nelle quali vive i suoi anni d’oro. Sul finire dei ’70 va al Cosmos di New York, dove ritrova il mito Pelé, al quale in gioventù, in campo, aveva fatto addirittura un “sombrero”.
La carriera ha già preso la discesa, così come la sua vita, che si concluderà nel 2014, quarant’anni dopo il Mondiale che lo aveva portato alla ribalta.
Morirà per un’emorragia allo stomaco dopo aver trascorso gli ultimi anni ad affittare fuoristrada ai turisti e a suonare la chitarra sulle spiagge del Paraiba. Tra povertà e alcolismo.
Ma per chi lo ha visto giocare resterà sempre “il terzino biondo che faceva impazzire il mondo”.