Roma, 14 luglio – In quel 14 luglio 1965 ai cugini d’oltralpe andò di traverso il finale del Tour perché pensavano che fosse una passeggiata di salute la vittoria del loro idolo Raymond Poulidor, in considerazione del fatto che in quella edizione mancava il grande Jacques Anquetil che di Tour ne avrebbe vinti 5.
Gimondi non doveva correre la “Grande Boucle” perché era appena passato tra i professionisti e ad appena 22 anni, dopo un lusinghiero terzo posto al Giro vinto dal suo capitano Adorni, si pensava di non affaticarlo più di tanto alla prima stagione.
Invece pochi giorni prima della partenza per la Francia un gregario della Salvarani, la squadra del nostro, ebbe un problema fisico e gioco-forza venne richiamato il giovane Gimondi in procinto di andarsene in vacanza.
Felice era un cavallo di razza, dotato di una determinazione e di una classe non comuni, partì con la squadra con l’intento di fare un po’ di esperienza ed aiutare il suo capitano Adorni e magari ritirarsi ad un certo punto della competizione.
Alla terza tappa Gimondi attaccò decisamente senza troppi calcoli ed andò a vincere la frazione a Rouen dopo 240 km. prendendo tutti in contropiede anche i giornalisti italiani al seguito, meravigliati dalla forza e dalla classe del bergamasco.
Da quel giorno tenne la maglia gialla per 19 tappe conquistando altre due vittorie nella mitica crono-scalata del Mont. Revard di 27 km. e nella cronometro con arrivo a Parigi al Parco dei Principi di 38 km., appunto nel giorno della festività della Bastiglia.
Ci furono momenti di paura nella gestione della maglia gialla non tanto per la forza degli avversari quanto per qualche errore di inesperienza che poteva commettere un giovane al primo Tour della sua carriera e da questo punto di vista la guida dell’allora direttore sportivo Luciano Pezzi fu estremamente saggia e decisiva. Nella tappa del Mont Ventoux, la montagna “calva” dove a luglio le temperature arrivano persino oltre i 40°, Gimondi andò in difficoltà abboccando a qualche tentativo di fuga perpetrato ad arte per fargli perdere energie; è abbastanza usuale nel ciclismo un gioco di “sante alleanze” tra elementi di squadre diverse laddove oggi serve un aiuto a Tizio e domani il favore può essere reso a Caio con lo scopo di detronizzare il “merlo” di turno.
Ma come detto Felice Gimondi dopo qualche sbandamento riprese saldamente in mano la situazione dimostrando a poco meno di 23 anni di essere già un Campione, come poi la sua grande carriera ha dimostrato.
Ci fù un episodio esattamente l’anno prima che mi fece conoscere Felice Gimondi e mi riferisco al Tour de l’Avenir, il giro di Francia dei dilettanti, dove il bergamasco era in lotta per la vittoria finale. Sin da piccolo, per educazione paterna, leggevo i giornali sportivi e nella fattispecie “Il Corriere dello Sport” trattava il Tour baby evidenziando in grassetto nero i nomi degli italiani.
Mi colpì da subito il nome di Gimondi perché non schiodava mai dalla seconda posizione nella classifica generale e davanti a lui il nome di uno spagnolo, un certo Garcia.
Passavano i giorni e non c’era verso di vedere il nome dell’italiano al primo posto finchè all’ultima tappa ci fù finalmente il ribaltone con Gimondi che conquistò il primo posto e Garcia secondo e sconfitto.
Lo spagnolo sparì di scena e Felice Gimondi si avviò ad una carriera straordinaria parzialmente guastata da quella “bestia” di Eddy Mercks!
La presa della Bastiglia, cari amici lettori, è la vittoria del Tour di Gimondi altro che la rivoluzione francese!