Roma, 3 ottobre 2023.
E’ proprio vero che c’è un destino segnato per ognuno di noi o perlomeno determinati accadimenti che si susseguono nella vita fanno pensare a ciò.
Due fratelli adolescenti, uno di 14 anni l’altro poco più grande, fuggono dalla Dalmazia nel settembre del 1947 verso l’Italia per ritrovare la perduta felicità.
Marciano instancabilmente verso il territorio italiano perché la loro città, Fiume, non è più Italia ed i nostri concittadini non sono più tollerati (eufemismo…) dai partigiani del maresciallo Tito.
Qualsiasi resistenza da parte di chi legittimamente risiede, lavora e produce in casa propria viene soffocata dalle milizia slave; italiani stranieri in patria.
I due ragazzi quindi lasciano la loro terra, ormai annessa alla Jugoslavia, la mamma, il papà e due fratelli più piccoli con cui in seguito si riuniranno in Liguria.
Trieste è la prima tappa dove vengono accolti, insieme a migliaia di profughi provenienti dall’Istria e dalla Dalmazia.
Il più giovane dei due ha un nome non comune, Abdon, il più grande Giovanni, e di cognome fanno Pamich.
La marcia a tappe forzate entra nel destino di Abdon, che ne acquisisce i connotati una volta sistemato e non più in preda a fughe.
Abdon comunque è già avviato ad una cultura sportiva attraverso gli amorevoli insegnamenti di un suo zio.
La sua stessa città, Fiume, ha solide tradizioni sportive nel calcio, pugilato ed atletica.
Del resto l’Istria e la Dalmazia, nello sport, non sono state avare avendo generato personaggi di assoluto spessore.
Come Volk, detto Sciabbolone per essere stato il primo centrattacco della Roma, come Ezio Loik, leggendaria mezzala del Grande Torino, o come Nino Benvenuti campione del mondo nel pugilato.
Abdon Pamich, una volta sistematosi in Liguria, intensifica la passione e la pratica sportiva verso la marcia che in qualche modo aveva già assaggiato qualche anno prima in fuga da Fiume.
Pamich sviluppa la sua tecnica, sia nella 20 che nella 50 km., curando molto oltre che l’aspetto fisico anche quello mentale.
Corregge l’iniziale tattica di attesa, per poi accelerare alla distanza, in atteggiamento già “a tutta” dalle prime battute, sulla scorta di un’esperienza maturata in Inghilterra a contatto con atleti locali.
Pamich nella sua ventennale carriera azzurra partecipa a cinque Olimpiadi, con un quarto posto a Melbourne nel 1956, un bronzo a Roma nel 1960 ed il sospirato oro a Tokyo nel 1964.
Tornando al famigerato destino, Pamich vince l’oro nella 50 km. di marcia a trentuno anni quando era meno favorito rispetto ai pronostici di Melbourne e Roma.
Il destino perché durante la gara, che stava dominando insieme all’inglese Nihill, al rifornimento poco dopo il 30° km, Pamich viene investito da fortissimi dolori addominali.
Galeotto un tea molto freddo, peraltro consumato in una gelida e piovosa giornata giapponese, che lo costringe a fermarsi.
Coperto da alcuni addetti al percorso (il regolamento vietava l’allontanamento per poter espletare bisogni fisiologici…), il nostro riesce a liberarsi perdendo una trentina di secondi nei confronti dell’inglese che, ammorbato dalla fatica, non si era reso conto della situazione.
Pamich riprende corpo ed intorno al 43° km. riagguanta e stronca sul ritmo Nihill, volando verso il traguardo che taglia spezzando il filo di lana con un gesto rabbioso.
Dunque Pamich, figlio di un’Italia che come lui ha saputo soffrire e rinascere, porta il tricolore sul pennone più alto con il tempo record, nella sua specialità, dei Giochi.
Oggi Abdon Pamich compie 90 anni, un signore di gran portamento che non ha mai dimenticato Fiume e i tanti che come lui sono dovuti fuggire abbandonando la propria terra.
Un ricordo che Pamich ha portato sempre con se, con dignità, senza vittimismi, con l’esempio e l’abnegazione della sua grande cultura sportiva.