Racconti di sport

Il mastino e l’abatino

Benetti, Rivera e quel curioso avvicendamento nel ruolo di capitano del 1974-75.

Roma, 9 marzo 2022 – Romeo Benetti e Gianni Rivera. Due colossi del calcio italiano. Il braccio e la mente del Milan della prima metà degli anni ’70.

Nei quali il “braccio” era Benetti, reinventato mediano da Nereo Rocco dopo che il Milan lo aveva preso dalla Sampdoria e la “mente” Gianni Rivera.

Per molti il più grande calciatore italiano di sempre, dotato di due piedi meravigliosi e di un senso tattico eccezionale.

Ma non di tanta grinta, come sosteneva Gianni Brera, che per questo lo aveva soprannominato “l’abatino”.

Mentre Benetti, per lui, era “Maultier” perché ricordava gli omonimi carri armati tedeschi della seconda guerra mondiale che gli avevano ispirato il soprannome. Ma per i più era semplicemente “il mastino del centrocampo”.

Tanti sostenevano che Rivera giocasse da fermo, perché non gli serviva correre, dato che per lui aveva corso Lodetti e ora correva Benetti (e passateci la rima).

Che a sua volta aveva due piedi niente male e tanta, tanta grinta e personalità, al punto da uscire sempre vincitore dai contrasti.

“Anche perché quando gli avversari vedevano che ero io che stavo andando a contrastarli si intimorivano e si scansavano” mi ha detto una volta, ridendo.

La sua fama di cattivo lo precedeva, soprattutto dopo quel brutto contrasto di gioco con il quale aveva causato il ritiro dal calcio del bolognese Liguori.

Un duro dal carattere forte, Benetti. Cresciuto in un collegio di Venezia da quando aveva 8 anni a quando ne ha fatti 16.

L’unico che poteva mettersi al braccio la fascia di capitano del Milan lasciata momentaneamente vagante da Rivera nella stagione 1974-75.

Un curioso passaggio di consegne dei gradi dall’uno all’altro avvenuto tutto “per colpa” di Albino Buticchi, l’allora presidente rossonero.

Con lui Rivera era sempre andato d’accordissimo, tanto che insieme facevano “anche le vacanze”. Come ha dichiarato più volte lo stesso Gianni.

Poi, però, il rapporto si incrinò. “Non so che cosa sia accaduto – ha dichiarato spesso Rivera – Lui ha trovato un allenatore, Giagnoni, che era convinto che io fossi arrivato al capolinea e si è fatto condizionare. Io ho opposto resistenza perché non mi aspettavo una cosa del genere. Poi tutto è stato gestito male. Era comunque evidente la sua volontà di cedermi”.

Era così, tanto che il bubbone era scoppiato dopo un’intervista rilasciata da Buticchi al Corriere della Sera nella quale aveva proprio dichiarato che, se avesse potuto, avrebbe scambiato Rivera con Claudio Sala del Torino.

Dopo che Rivera la lesse non si presentò per due giorni agli allenamenti e Giagnoni lo mise fuori rosa.

E quando Buticchi venne confermato presidente nel maggio del ’75 Rivera dichiarò addirittura di volersi ritirare dal calcio. Salvo poi acquistare il Milan per interposta persona.

Mentre si svolgevano tutte queste vicende la fascia di capitano del Milan era finita a Benetti, che aveva preso in mano le redini della squadra, per condurla al quinto posto e alla finale di Coppa Italia del 28 giugno all’Olimpico, che il Milan perse 3-2 contro la Fiorentina.

Nella stagione seguente la presidenza cambiò (Rivera aveva agito proprio per far si che ciò avvenisse), Rivera stesso tornò in campo e Benetti gli ridette la fascia.

Alla fine del campionato 1975-76, però, il duro Romeo venne scambiato con Capello della Juve e la coppia Benetti-Rivera si sciolse definitivamente dopo sei stagioni.

In rossonero, insieme, avevano vinto due Coppe Italia e una Coppa delle Coppe.

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