K2=ITALIA

Settant'anni fa l'impresa sul K2, con il decisivo contributo di un giovane alpinista: Walter Bonatti.

Roma, 31 luglio 2024.

 

Ore 17,30 del 31 luglio 1954 l’alpinista hunza Isakhan, dal campo VIII a 7627 m. di altezza sulle rampe del K2, esclama in inglese: <Un saib è prossimo a scalare il K2!>.

Settanta anni fa Achille Compagnoni e Lino Lacedelli piantano sulla vetta del K2 una piccozza con la bandiera italiana (e pakistana), a 8611 m. di altezza.

Per la prima volta nella storia il K2, la seconda montagna più alta del mondo della catena montuosa del Karakorum, viene conquistato da una spedizione alpinistica italiana.

Una squadra di 30 componenti, coordinati e diretti dal capo squadra Ardito Desio, tra cui 10 alpinisti hunza considerati “portatori d’alta quota”.

Gli hunza sono così denominati perché provenienti dall’omonima valle situata a circa 2000 m. sul livello del mare, in territorio pakistano, e tra essi i maggiori protagonisti della spedizione il già citato Isakhan e Mahadi.

Il giorno prima, il 30 luglio 1954, Compagnoni, promosso da Desiocapo del balzo finale”, e Lacedelli partono alle ore 8 per installare il campo IX alla quota di 7900 m. decisa dalla sera precedente.

Walter Bonatti, il più giovane della spedizione, trascina con se l’hunza Mahadi dal campo VIII con il fardello delle bombole per farle avere al campo IX a Compagnoni e Lacedelli.

Intorno alle ore 15,30 però Bonatti e Mahadi non trovano il campo nel punto concordato e salgono ulteriormente di circa 200 m. nella speranza di incrociare la tenda dei due compagni.

A più riprese Bonatti ricorre a richiami vocali che cadono però inesorabilmente nel vuoto.

Ad oltre 8000 m. con l’aria che comincia ad offuscarsi, a corto di fiato e con il cuore che sembra scoppiare in petto, Bonatti pensa a una soluzione estrema e cioè attendere l’alba in bivacco su un costone ripido a strapiombo.

Mahadi è fuori di senno e barcolla paurosamente con Bonatti che cerca di calmarlo mentre ritaglia con la piccozza uno scalino di 60 cm. dove possono sedersi uno accanto all’altro.

E’ una situazione estremamente pericolosa, nel bel mezzo di un ripido canale nevoso definito “collo di bottiglia”, tuttavia d’improvviso s’accende una luce ed è Lacedelli che chiede loro se hanno appresso l’ossigeno.

Bonatti risponde affermativamente e viene invitato a rientrare al campo VIII lasciando lì le bombole, ma non è possibile visto il buio, la stanchezza profonda, e le critiche condizioni di Mahadi.

Invano Bonatti ricomincia a chiamare, a chiedere aiuto, ma nessuno si farà vivo per tutta la notte e così resosi conto che sono stati abbandonati si stringe accovacciato a Mahadi esorcizzando il gelo che li sta paralizzando.

Bonatti e Mahadi passano la notte tra il 30 e il 31 luglio 1954 senza tenda e senza sacchi a pelo ad una temperatura di circa -50°, per di più resistendo ad una bufera scatenatasi nella notte.

Come un’apparizione, verso le 6 del 31 luglio, spunta il sole e Bonatti, preceduto dall’instabile Mahadi, con molta cautela, ghiacciato dalla testa ai piedi, scende verso il campo VIII.

Stupore da parte degli altri compagni nel sentire il racconto di Bonatti e di trovarlo incolume, nonostante tutto.

Tornando al campo IX, verso le 6,30, Compagnoni e Lacedelli raggiungono il bivacco di Bonatti-Mahadi e recuperano le bombole da loro lasciate, iniziando così l’ascensione finale che li porterà alle 17,30 alla prestigiosa conquista della vetta.

Il contributo di Bonatti è stato determinante nella riuscita dell’impresa, rischiando la vita nel portare le bombole necessarie ai due capi-cordata per raggiungere la vetta, abbandonato a 8100 m. nella drammatica notte passata all’addiaccio.

Tuttavia la relazione ufficiale sminuirà il suo ruolo e verrà, qualche anno dopo, accusato di avere cercato gloria personale.

Dopo decenni di processi, revisioni, polemiche e quant’altro, nel 2007 verrà ufficialmente riconosciuta la verità di Walter Bonatti, il più giovane della spedizione appena ventiquattrenne.

In Italia la grande impresa viene resa nota il 3 agosto, accolta da un entusiasmo dilagante per il prestigio in se e come simbolo di rinascita del nostro Paese nel dopoguerra.

Il giorno dopo la Gazzetta dello Sport da grande risalto alla conquista del K2 ed il direttore dell’epoca, il grande Gianni Brera, dedica alla spedizione un editoriale dall’emblematico titolo:<Un esempio per tutti>.

Ecco un paio di stralci che riportiamo dall’articolo di fondo di Brera.

<In verità dobbiamo tutti riconoscere che, fra gli sportivi, nessuno come l’alpinista sfiora l’eroismo con tanto e disinteressato trasporto…>.

<Egli (l’alpinista) onora tutti noi con se medesimo. Il suo animo è per solito puro e sgombro da ogni gonfia retorica; il suo cuore è saldo come i muscoli, di una tempra che ormai sembra perduta>.   

FOTO: Walter Bonatti sul settimanale EPOCA.

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