La protesta di Tommie Smith.

Smith, insieme a Carlos, protagonista di una clamorosa protesta alle Olimpiadi del 1968.

Roma, 16 ottobre 2023.

 

E’ una ricorrenza importante quella del 16 ottobre 1968, cinquantacinque anni fa, non solo per l’atletica leggera ma direi per un significativo risvolto sociale.

Tommie “Jet” Smith vince ai Giochi olimpici di Città del Messico la medaglia d’oro nei 200 metri stabilendo il record del mondo in 19’’83, con il connazionale John Carlos medaglia di bronzo.

Ma non è tanto la vittoria olimpica, in una specialità dal facile pronostico per atleti americani, ma la foto simbolo che rimane impressa.

Al momento della premiazione, nel pieno della solennità dell’inno statunitense, Smith e Carlos si presentano sul podio con il pugno alzato, il destro Smith, il sinistro Carlos, avvolto in un guanto nero per dire NO al razzismo.

Anche l’australiano Norman, medaglia d’argento, manifesta in favore dei due neri americani presentandosi alla premiazione con un bottone attaccato sulla tuta.

Il pugno avvolto in un guanto nero è il simbolo del “Black Power”, movimento che si batte contro le discriminazioni razziali.

E’ un anno particolare il 1968 con il maggio francese, gli accadimenti di Valle Giulia a Roma, l’assassinio di Martin Luther King e solo qualche giorno prima dell’inizio dei Giochi la strage contro gli studenti in piazza delle Tre Culture a Mexico city.

Il periodo rivoluzionario investe anche la parte tecnico-sportiva come la pista in tartan, unitamente ai benefici dell’altitudine ed i nuovi materiali, che sostituisce la vecchia terra con notevoli riscontri sull’aumento della velocità.

Prima del gesto eclatante di Smith e Carlos, ribadito qualche giorno dopo da Lee Evans medaglia d’oro nei 400 metri, alcuni atleti neri della spedizione americana s’interrogano sull’eventualità di boicottare i Giochi, con meno di un terzo favorevoli a rimanere a casa.

Se le nostre vittorie sportive possono salvare anche un solo negro dai ghetti, vale la pena di gareggiare e vincere”; questo è il convincimento finale che prevale.

Smith e Carlos sanno che una parte dell’opinione pubblica americana considera gli atleti neri “branco di animali” e da lì Tommie studia il piano che Carlos sottoscrive.

Tommie e John non chiedono scusa e anzi dichiarano in conferenza stampa: <Non vogliamo più essere trattati come cani da corsa>.

Aggiunge Smith: < Se vinciamo direte che ha vinto un americano, se perdiamo direte che ha perso un negro>.

Il Comitato Olimpico Internazionale alle sei del mattino del giorno dopo li invita a lasciare il villaggio olimpico, zitti e al buio, per evitare il “contagio” della protesta…

Tommie Smith dopo l’Olimpiade non ribadisce le sue qualità di sprinter, passerà al football americano e si dedicherà nel prosieguo alla carriera di allenatore.

John Carlos anche confluirà nel football americano, per essere poi coinvolto in attività sociali e di organizzazione di eventi.

Trentadue anni dopo lo smacco di Jesse Owens, nelle Olimpiadi del 1936 gestite dalla Germania nazista, poco o nulla sembra essere cambiato per gli atleti neri specialmente a casa loro.

E comunque undici anni dopo i giochi di Città del Messico, sulla stessa pista alle Universiadi del 1979, si compie un’altra rivoluzione ossia il record del mondo, sempre sui 200 metri, di un atleta “bianco ma nero dentro”: Pietro Mennea.

Questa però è un’altra storia…

 

 

 

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