Roma, 1 luglio 2023.- E’ di poche ore fa la notizia della scomparsa di Vincenzo D’Amico, 68 anni, talento purissimo facente parte dell’irripetibile Lazio che vinse il suo primo scudetto nel 1974.
Era malato da tempo, tanto che aveva diradato gli impegni come opinionista sia radiofonico che televisivo e anzi un paio di mesi fa, su alcuni social, aveva reso pubblica la sua malattia.
Chissà magari nel tentativo di esorcizzarla, di auto-infondersi quel coraggio che in parecchie circostanze può risultare più un Moloch di cartapesta.
Felice Pulici lo chiamava “Golden” ed in quella squadra debutta in serie A non ancora diciannovenne.
Un tocco di classe in più rispetto alla già consolidata base dell’anno prima, quando lo scudetto sfugge a Napoli a tre minuti dalla fine del campionato.
Tommaso Maestrelli lo cura, lo coccola, lo gestisce, anche e soprattutto negli atteggiamenti fuori dal campo.
Una città tentacolare come Roma, con i suoi eccessi e i suoi rigurgiti di dolce vita, può ammaliare e distruggere qualsiasi atleta o personaggio figuriamoci un giovanotto come “Golden”.
Alla fine della fiera veste il biancoceleste per 15 anni, con la sola parentesi di un anno al Torino nella stagione 1980/1981.
Non è stato un Capitano trascinatore e dalla grande personalità come Pino Wilson, ma è stato IL Capitano presente nei momenti più bui del sodalizio laziale dando un vero esempio di attaccamento alla causa rinunciando in più di una circostanza anche a parecchi soldi.
Autori e cronisti più celebrati di noi scriveranno articoli e ricordi avvalorati anche da numeri e dati statistici che troverete ovunque.
Il mio personalissimo ricordo risale al 1970, io quattordicenne riserva del Cristo Re che affrontava in un quarto di finale il Leonardo da Vinci nel prestigioso torneo “Roma Junior Club”, tra istituti superiori, sui campi dell’Acqua Acetosa.
Il torneo presentava ragazzi che giocavano nei settori giovanili delle varie società romane e della regione ed il sogno era di giocare la finale allo stadio Flaminio.
Il Cristo Re era un’ottima squadra ma quel giorno come avversario c’era un ragazzo di 16 anni, agile fisicamente, che non ci fece vedere letteralmente il pallone.
Non lo prendevi mai nonostante che un paio dei nostri, marcandolo “a uomo”, lo randellarono a dovere.
Il da Vinci ci eliminò dalla corsa alla semifinale e ci informammo chi fosse quel talento: si chiamava Vincenzo D’Amico e giocava nell’Almas…
Lo rividi molti anni dopo, insieme ad un conoscente comune, al bar che gestiva mio padre al quartiere Trieste.
Divorò senza nessuna remora una quantità esagerata di tramezzini, alla faccia di una dieta, di un metabolismo, che lo portava ad ingrassare.
Comunque simpatico, aperto, che ricordava l’episodio dell’Acqua Acetosa che chissà magari fece sì che in estate fu tesserato dalla Lazio.
Il tempo scorre inevitabile ed è normale che cinquant’anni dopo qualche protagonista saluti la compagnia.
Quello che più ci fa riflettere è come quella squadra, ma direi gran parte di quel sodalizio, abbia subito una sorte di maledizione già solo due anni dopo con la scomparsa in un mese di Maestrelli e Re Cecconi.
A cascata poi una serie di morti tra incidenti, mali incurabili, disgrazie di ogni tipo, quasi, quasi da far invidia alla tragedia del Grande Torino.
Certo l’epoca vissuta, lontana anni luce dai nostri giorni, consente di ricordare questi personaggi come degli EROI, dei MITI, entrati a buon diritto nella LEGGENDA.
E gli EROI, i MITI, le LEGGENDE, non muoiono mai.
Anche Vincenzino D’Amico, detto “Golden”.