Roma, 7 novembre 2023.
Ancora una ricorrenza tonda, cinquant’anni, relativa ai colori biancocelesti perché il 7 novembre 1973 è la famosa, famigerata, serata di Lazio-Ipswich.
Gara di ritorno dei sedicesimi di finale dell’allora Coppa Uefa, stagione ‘73/’74, con la Lazio al disperato tentativo di una rimonta ritenuta impossibile.
All’andata quindici giorni prima i biancocelesti subiscono una “bambola” dagli inglesi, un 4-0 mortificante con un unico giustiziere; il centravanti Whimark.
Ho appena accennato a questo episodio nel racconto del 28 ottobre intitolato “La prodezza di Chinaglia”, ma gli accadimenti di mercoledì 7 novembre 1973 sono ben altro.
Come dicevo la partita si presenta disperata perché quattro reti da rimontare ad una squadra inglese è impossibile solo pensarlo, ma gli uomini di Maestrelli hanno carattere ed orgoglio da vendere.
L’Olimpico, in una serata più primaverile che autunnale, accoglie le squadre con una cornice di cinquantamila spettatori, presenti più per fede che per l’effettiva speranza di passare il turno.
Appena un minuto di gioco e la Lazio è già in vantaggio, con Garlaschelli che di rapina trafigge l’estremo difensore inglese.
In un attimo lo stadio si trasforma in un’arena incandescente ed i giocatori laziali aggrediscono gli avversari tramortendoli con ritmo e giocate spettacolari.
A metà primo tempo Chinaglia segna il secondo goal, con la squadra avversaria incapace di reagire annichilita dinanzi allo strapotere dei laziali.
Un paio di minuti prima del raddoppio biancoceleste l’arbitro olandese Van der Kroft ignora un plateale fallo di mano dello stopper Hunter, che si tuffa sulla linea di porta, a portiere battuto, ricacciando un tiro di Chinaglia destinato alla rete.
La tensione sale alle stelle ed i laziali aumentano i loro sforzi vedendo che il miracolo è alla portata; in fondo metà del disavanzo è azzerato.
L’inizio della ripresa, seppur ad un ritmo leggermente in calo visto quello che è stato l’impegno della prima frazione, è ancora un monologo dei biancocelesti fino al 20’ della ripresa.
Uno dei rari contrattacchi degli inglesi vede la mezzala Woods gestire un pallone in area laziale ma completamente decentrato verso il fondo campo.
Lo stopper Oddi controlla l’avversario senza alcuna pressione, allargando persino le braccia a rafforzare il concetto che non sta strattonando l’inglese che però fortuitamente inciampa su se stesso e cade.
L’arbitro Van der Kroft, lontano almeno una trentina di metri dall’azione, fischia deciso il calcio di rigore per l’Ipswich.
Apriti cielo! I giocatori della Lazio si avventano sul direttore di gara spingendolo da tutte le parti, roba da finire la gara in sei…
Anche il pubblico si lascia andare all’intolleranza, con lancio di oggetti in campo ed un tentativo d’invasione da parte di un “bibitaro” placcato sotto la curva nord a pochi metri dalla porta difesa da Pulici.
Il rigore viene trasformato e fa sì che le residue speranze di rimonta della Lazio svaniscano repentinamente.
A bocce più che ferme ho sempre pensato che l’inadeguatezza, per non parlare di malafede, di Van der Kroft si sia manifestata nelle due reti successive siglate da Chinaglia.
La prima per un rigore inesistente concesso alla Lazio (compensazione per coscienza sporca?) e la seconda per un fallo che lo stesso Giorgione commette spingendo palesemente il difensore avversario.
Per le statistiche l’incontro finisce 4-2 per la Lazio, con effimera soddisfazione.
La gazzarra finale quindi è stata una somma di esasperazioni e di evidenti ingiustizie che ha accomunato oltre che gli atleti in campo anche e soprattutto parecchi tifosi.
Caccia all’inglese nei corridoi dell’Olimpico verso gli spogliatoi, da parte degli stessi calciatori laziali, ed esagitati fuori dell’impianto per un assedio durato fin oltre la mezzanotte.
Tra l’altro alcune testimonianze dei giocatori biancocelesti, qualche giorno dopo, riferiscono di continue provocazioni e prese in giro da parte dei colleghi dell’Ipswich dopo la trasformazione del rigore scacciapensieri.
Intendiamoci non sto giustificando l’ingiustificabile ma l’Uefa, che all’epoca aveva l’italiano Franchi come Presidente, avrebbe dovuto controllare lo status di un direttore di gara alticcio ed impresentabile.
La Lazio quindi viene eliminata dalla manifestazione ma la serata da far-west e la grancassa mediatica impregnata di sdegno, da parte dei britannici e non solo, saranno ancora più dolorose.
La Lazio alla fine di quella stagione coronerà il sogno del suo primo scudetto senza però partecipare alla Coppa dei Campioni ‘74/’75, in virtù della maxi squalifica di tre anni comminata dall’Uefa, ridotta poi a un anno, per la battaglia dell’Olimpico.
Il sogno di chi scrive, all’epoca diciottenne, di vedere la squadra del cuore in Coppa Campioni si materializzerà in età più che avanzata nel settembre 1999 in compagnia del suo erede, un aquilotto di nove anni.
Un’emozione che non dimenticherò mai…