Racconti di sport: “Il Sor Umberto”
Roma, 4 agosto 2016 – Molte volte un personaggio viene etichettato con un soprannome che ne sintetizza il suo modo di essere. Nel mondo dello sport tantissimi gli esempi, come “Rombo di Tuono” per significare la potenza di Gigi Riva, o “Golden boy” per inquadrare Gianni Rivera come aureo talento del calcio italiano, o l’Airone per decantare Fausto Coppi, o semplicemente per individuare una figura come tanti di noi.
Il “Sor Umberto” a Roma era per tutti Umberto Lenzini, il presidente della Lazio calcio che portò il primo storico scudetto del ’74 proprio nella Capitale.
Lenzini, nato nel 1912, era di origini emiliane, Fiumalbo zona Abetone, anche se i suoi natali erano riconducibili a Walsemburg nel Colorado dove i suoi genitori emigrarono nei primi anni del secolo scorso.
Rientrato in Italia, prima del secondo conflitto mondiale, Lenzini completa gli studi di ragioneria ed investe insieme alla sua famiglia i guadagni conseguiti negli Stati Uniti nell’acquisto di terreni nella zona Aurelia e Valle dell’Inferno, che di lì a poco verranno resi edificabili.
I Lenzini così, da vecchi commercianti, si trasformarono in costruttori edili ed Umberto abilmente diventò un imprenditore emergente, con spiccato amore verso lo sport che da giovane aveva praticato con discreti risultati nell’atletica leggera, precisamente nella specialità dei 100 metri.
La Lazio lo accolse nel 1965 in un momento storico di grave crisi del sodalizio biancoceleste che col suo avvento si trasformò in società per azioni; Umberto diventò Presidente esattamente il 18 novembre dello stesso anno.
L’aspetto fisico di Lenzini dava l’impressione del burbero, dell’intransigente, ma la storia dimostrerà che al di là di tutto la sua bonomia, alla romana il suo essere “pacioccone”, lo porterà ad essere chiamato appunto Sor Umberto o in alternativa Papà Lenzini.
La presidenza di Lenzini durerà fino al settembre del 1980 quando in piena crisi post-scandalo del primo calcio-scommesse cedette il comando della Lazio ai fratelli Aldo ed Angelo che però non avevano né la forza economica, né le intuizioni di Umberto.
Intuizioni legate alla scelta dei collaboratori, come i tecnici Lorenzo e Maestrelli o Sbardella ex arbitro internazionale che diventò un ottimo direttore sportivo, o relative ad acquisti di giocatori inizialmente sconosciuti ma che poi si rivelarono determinanti per il successo tricolore.
Sono risultati celebri e scaramantici i suoi giri di campo nel girone di ritorno del torneo ’74, prima dell’inizio delle partite, in uno stadio stracolmo e traboccante di consenso ma l’incalzare delle vicende post-scudetto porteranno il “Sor Umberto” a perdere di vista quella realtà che presenterà un conto molto salato per se e per il sodalizio.
La scomparsa di Maestrelli, la morte tragica di Re Cecconi, la partenza di Chinaglia verso gli Usa e soprattutto il rapido cambiamento dei tempi, non più votati ad una conduzione familiare e paternalistica di una Spa, saranno fatali a Lenzini per l’abbandono della presidenza nel 1980 a seguito della retrocessione a tavolino della Lazio per lo scandalo scommesse.
Umberto Lenzini, in pieno anonimato, muore il 22 febbraio 1987 e personalmente mi fa piacere ricordarlo per due episodi, uno dell’ottobre 1971 quando andò incontro ad un gruppo di tifosi nella stazione ferroviaria di Arezzo per tranquillizzarli sulla non-cessione di Massa, giocatore che si rivelerà fondamentale per la risalita in A della Lazio in quel campionato e nove anni dopo nell’aprile 1980 quando ad Udine, in una drammatica trasferta che i biancocelesti affrontavano per rimanere in serie A con la squadra falcidiata dagli arresti per il caso-scommesse ed imbottita di giovanotti della Primavera, consentì a sue spese l’ingresso allo stadio Friuli di circa un centinaio di tifosi arrivati fin lassù per sostenere la squadra in grande difficoltà.
Un personaggio di un calcio antico che oggi probabilmente avrebbe difficoltà persino ad entrare allo stadio!