Roma, 8 maggio 2020 – Herbert Prohaska era davvero un austriaco con i baffi. Anzi: da leccarsi i baffi, tanta era la sua classe, anche se per molti era troppo lento, al punto che lo ribattezzarono “lumachina”. Ma sbagliavano, perché lui, secondo i dettami della scuola danubiana, faceva correre la palla con la precisione dei suoi due piedi vellutati e di una testa pensante e pesante. Di quelle che in campo si sentono eccome, al punto di finire con l’incidere moltissimo nell’economia di una partita.
Alla riapertura delle frontiere calcistiche del 1980, che stiamo celebrando in questa nostra retrospettiva a puntate che si occupa di quei primi undici stranieri (più uno), Prohaska fu il primo di loro ad arrivare in Italia. A prenderlo fu l’Inter del presidente Ivanoe Fraizzoli (la cui moglie, la signora Renata, era solita fare le carte ai giocatori che il marito voleva portare in nerazzurro per dire se potevano essere acquistati oppure no) e del “sergente di ferro” Eugenio Bersellini, che l’anno prima aveva vinto lo scudetto. Per questo la prima maglia “italiana” di Prohaska aveva il tricolore ben cucito sul petto. Lo stesso che, dopo quella stagione 1980-81, non ha più portato, ma ha vinto con la Roma nel 1982-83. Dopo due stagioni a Milano, infatti, nel 1982 è stato acquistato dalla Roma di Viola e Liedholm, nella quale ha formato un centrocampo di fenomeni insieme a Falçao, Ancelotti, B.Conti e Di Bartolomei, che dato che là in mezzo non c’era più posto era stato reinventato “libero” dal Barone.
In quella Roma Prohaska ha recitato da protagonista arrivando a vincere lo scudetto proprio in questo giorno, l’8 maggio, di 37 anni fa. A fine stagione, però, seppur a malincuore il presidente Viola ha dovuto cederlo per poter prendere Toninho Cerezo, visto che il regolamento prevedeva solo due stranieri per squadra. Prohaska ha capito la situazione e come lui l’hanno capita anche i tifosi giallorossi, che hanno continuato a volergli bene e che ancora oggi, quando lo incontrano per le strade di Roma, dove torna spesso, lo chiamano sempre “Lumachina”. Ma nel modo più affettuoso possibile.
E bene gli vogliono anche i bambini di tutta l’Austria, tra i quali è diventato un mito qualche anno fa grazie ad una trasmissione televisiva pre-serale al termine della quale, per farli andare a letto, augurava loro la buonanotte in un modo che li divertiva moltissimo.