Roma, 16 gennaio 2017 – Il Napoli vince da sei partite consecutive, ha il miglior attacco del campionato e tallona da vicino la Roma, contro la quale, però, ha perso in casa lo scontro diretto del girone di andata. Dietro questo rendimento eccezionale della squadra di Sarri negli ultimi due mesi c’è la bravura del tecnico, che ha saputo inventarsi un attacco senza punta centrale (Milik è infortunato, Pavoletti è appena arrivato) che ha esaltato le doti realizzative di Mertens.
Ma c’è anche una piccola scaramanzia alla quale in pochi hanno fatto caso: la maglia.
Da quando ha cominciato a vincere, infatti, il Napoli ha quasi sempre indossato quella bianca con banda trasversale azzurra che è stata adottata quest’anno come seconda casacca da gioco in ricordo di quella che fu usata nelle stagioni 1964/65 e 1965/66.
E anche allora portò bene come sta facendo oggi, perché nella prima il Napoli, allenato da Pesaola, arrivò secondo in B e fu promosso in A, mentre nella seconda arrivò addirittura terzo alle spalle di Inter e Bologna e vinse la Coppa delle Alpi, il suo primo trofeo internazionale.
A volerla al posto di quella azzurra tradizionale, per motivi esclusivamente scaramantici, fu l’allora presidente Roberto Fiore e il cambiamento, dunque, sortì l’effetto sperato. Nonostante ciò, però, nel campionato seguente lasciò la maglia bianca (tenuta come seconda) per tornare a vestire la più tradizionale tutta azzurra, che non cambiò più, con la sola eccezione della stagione 2002-03, nella quale, giocando in B, vestì una casacca a strisce verticali bianche e azzurre simile a quella della nazionale argentina. In questo campionato il Napoli di De Laurentis e Sarri ha riscoperto la maglia bianca con banda trasversale dopo averla indossata alla fine di un periodo non felice, nel quale i risultati non arrivavano. Con essa è cambiata la musica, il Napoli ha ricominciato a vincere e, per ora, la casacca azzurra resta nel cassetto.
Come diceva Totò, che di Napoli è uno dei figli prediletti: “La scaramanzia è sinonimo di ignoranza, ma non crederci porta male”.