Roma, 27 novembre 2024.
Ci sono compleanni o ricorrenze, nell’ambito sportivo o dello spettacolo, che lasciano un po’ interdetti tutti noi fruitori delle loro gesta.
Perché magari non ci capacitiamo che è arrivata una certa data, come fosse un’improvvisazione.
E’ il caso di Roberto Mancini, oggi al traguardo delle sessanta primavere, eterno “golden-boy” come Pelè, Rivera ed altri “giovanotti” come lui.
L’anello di congiunzione è l’essere stati subito grandi protagonisti sin dalla minore età e quindi, nell’immaginario, per sempre giovani.
Mancini irrompe nella massima serie calcistica nella stagione ‘81/’82, quando ancora non ha compiuto 17 anni, con la maglia del Bologna.
Il papà Aldo asseconda la viscerale passione di Roberto e lo porta, già a cinque anni, all’Aurora Jesi dove fa tutta la trafila dai pulcini agli allievi regionali.
Dalla residenza marchigiana Bologna non è lontana e spesso papà Aldo e Roberto vanno a vedere i rossoblù felsinei specialmente quando c’è la Juventus, squadra per cui entrambi fanno il tifo.
Si dice che quando passa il treno bisogna essere bravi a prenderlo al volo, nel caso di Roberto Mancini di treni ne passano addirittura due.
Il primo a dodici anni è con il Milan dell’osservatore Luciano Tessari, fidatissimo collaboratore di Liedholm, che gli dice: <Sei dei nostri, tra qualche giorno ti arriva la lettera di convocazione>.
Passano le settimane ma nessuna lettera arriva a casa Mancini e grande è la delusione del ragazzo che si lascia andare a qualche malevolo pensiero nei confronti di Tessari.
Parecchi anni dopo si viene a sapere che la lettera il Milan l’ha spedita ma alla Real Jesi, altra società che cura il settore giovanile nella cittadina marchigiana.
Il secondo treno è una fortunata combinazione che riguarda la mamma di Roberto.
La signora è in cura dentistica in uno studio medico di Bologna e nello stesso giorno in cui ha fissato un appuntamento presso tale ambulatorio Roberto si reca a Casteldebole, centro sportivo rossoblù, per un provino gestito da due campioni d’Italia del 1964: Romano Fogli e Marino Perani.
Basta un quarto d’ora e Perani interrompe la prova e davanti a papà Aldo sentenzia: <Se siete d’accordo possiamo cominciare pure subito, ti prendiamo>.
A volte i giovani devono fare esperienza, in gergo devono “farsi le ossa”, ebbene Roberto Mancini, nonostante la retrocessione del Bologna in B alla fine della stagione ‘81/’82, non fa neanche un minuto nella cadetteria.
A 18 anni va alla Sampdoria ed inizia una favola che lo vede indiscusso protagonista per quindici anni fino al 1997, portando i blucerchiati a livelli mai raggiunti prima.
La bacheca della Sampdoria si riempie di quattro Coppa Italia, una Supercoppa italiana, una Coppa delle Coppe e lo storico scudetto del 1991.
Nel rapporto con il gemello Vialli è nettamente più decisivo Roberto, sia come uomo squadra che come responsabile occulto delle sorti del club come figura d’appartenenza.
A 33 anni viene alla Lazio e contribuisce al definitivo salto di qualità del sodalizio biancoceleste, a dispetto di qualche solone che pronostica una dorata pensione nella Città Eterna.
Roberto Mancini prende letteralmente per mano, come si fa con un bambino nell’aiutarlo ad attraversare la strada, squadra, società, tifosi, l’ambiente tutto, e in tre anni porta la Lazio a vincere quello che in cento anni di storia non ha mai vinto.
Senza dimenticare il munifico aiuto del presidente Cragnotti e la sapiente guida di mister Eriksson e di molti grandi calciatori.
E’ questo il punto, la grandezza di Mancini, che non pensa mai al proprio orticello di campione “arrivato” ma nell’esclusivo interesse del club si contorna di personaggi di grande personalità, senza il timore che questi altri soggetti lo possano oscurare.
Anche come tecnico il genio, la classe, di Mancini è tale con il picco, a livello Nazionale, del titolo europeo del 2021 riportato a casa dopo ben 53 anni.
Mi rendo conto che oggi non è di moda parlare con apprezzamento di Roberto Mancini, in special modo dopo le bucce di banana della mancata ultima qualificazione ai mondiali del Qatar del 2022 e le successive improvvise dimissioni nell’estate del 2023.
Forse ha lasciato a desiderare in qualche frangente a livello di rapporti, dando la sensazione di un eccesso di cinismo.
L’esempio che mi preme sottolineare è il suo atteggiamento, la mentalità che ha sparso a tutti i livelli sempre con il proposito di far crescere il progetto dov’era coinvolto.
E senza bassi egoismi di piccolo cabotaggio…
FOTO: La mia storia – Roberto Mancini official.