Roma, 12 novembre 2022.
Il 12 novembre 1972, cinquant’anni fa, è una domenica importante per la città di Roma perché allo stadio Olimpico va in scena il derby Roma-Lazio, sesta giornata di serie A, stagione 1972/1973.
Il derby capitolino, da sempre, è un qualcosa che esula dal contesto generale di ogni campionato e nello specifico questo viene affrontato con le due squadre in testa alla classifica, imbattute.
La Roma, guidata dal “mago” Herrera, al quinto anno di conduzione tecnica, ha grandi ambizioni per il campionato e presenta, tra le sue fila, l’astro nascente Valerio Spadoni.
La Lazio, neo-promossa in serie A e dopo un tormentato pre-campionato con contestazioni feroci, ci arriva in seguito ad un inizio spettacolare ed inatteso.
L’attesa è spasmodica, già da diversi giorni, il pienone è scontato e chi scrive riesce a malapena a comprare il tagliando di curva, al costo di lire 1.800 (!), in esaurimento dal martedì precedente.
Appena comprato il prezioso biglietto incontro due amici giallorossi ed uno di questi è il mio storico alter-ego romanista.
I due cominciano a sfottermi con battute più o meno colorite ed un caloroso invito: <ahò ma che ce vai a fa domenica allo stadio tanto ve famo neri, a lazziale stattene a casa!>.
Frequento il quarto anno di ragioneria, ma quella settimana di studiare non se ne parla.
La testa è completamente proiettata al derby, la mia prima stracittadina in trasferta dopo il mio esordio casalingo di due anni prima da abbonato in Tevere.
Il sabato sera, precedente la sfida, allineato e coperto a casa davanti al televisore a vedere Canzonissima e la mattina seguente sveglia già alle 7,30 quando abitualmente la domenica mi sveglio a mezzogiorno.
Colazione frugale verso le 9,30, alla radio c’è la storica trasmissione “Gran Varietà” condotta dalla Raffaella nazionale.
Via allo stadio, con una sacca di panini, per poter entrare all’apertura dei cancelli della curva alle ore 10,30 (!), quattro ore prima, e prendere i migliori posti.
Il concetto del posto numerato, del posto assegnato, è qualcosa d’impensabile, di extraterrestre.
Quattro ore di attesa, una tensione che neanche quando sono nati i miei figli dal momento che erano parti programmati e già si sapeva chi sarebbe nato.
Dei quattro panini preparati da mia madre né mangio si e no mezzo, sudavo nonostante fosse novembre e poi l’angoscia di tutte le mie (nostre di tutti i laziali) angosce: <ma gioca Chinaglia?>.
Si, perché Giorgione la domenica precedente si è fatto male alla caviglia contro la Ternana e per tutta la settimana le notizie che filtrano da casa Lazio sono pessimistiche.
Lo stadio ribolle d’entusiasmo già da un’ora prima del fischio d’inizio, 85.000 spettatori di cui appena 5/6000 laziali asserragliati in curva Nord al confine con la tribuna Monte Mario.
Ci sentiamo come tanti Leonida alle Termopili…
All’epoca non ci sono radio private, social, e le notizie sono quelle del giornale mattutino, che però raccontano fino al giorno precedente.
La Lazio è annunciata nella formazione che fino a quel momento non ha mai mutato e con la quale ha, sorprendentemente, raggiunto il primato in classifica con l’Inter, il Milan e la Roma.
Comincio a pensare, insieme ad altri amici laziali, che forse era meglio rimanere a casa; mai provato uno spasmo simile. Ma Giorgione gioca?
Arriva il momento delle formazioni ufficiali, che vengono irradiate sui tabelloni elettronici dieci minuti prima dell’ingresso delle squadre in campo.
All’epoca i nomi dei giocatori appaiono lettera per lettera e secondo la scansione abituale, ossia portiere, terzino destro, terzino sinistro, mediano, stopper, libero, ala destra, ala sinistra, mezzala destra, mezzala sinistra e il nome del centravanti in ultima riga in posizione centrale.
In curva Sud il tabellone riporta la formazione della Roma, in curva Nord quella della Lazio e mentre i nomi dei giallorossi sono completi quelli della Lazio mancano dell’ultima riga, quella del nome del centravanti!
Improvvisamente cala sull’Olimpico un silenzio irreale, da parte romanista per capire se il nemico più accreditato è della gara, da parte laziale un’attesa febbrile e speranzosa.
Due minuti circa, che per noi laziali sono interminabili, e poi l’accensione del nome lettera per lettera: C-H-I-N-A-G-L-I-A.
Da parte laziale un boato di liberazione, da parte romanista fischi a rotta di collo.
Finalmente comincia la gara e a parte un leggero sbandamento iniziale su un attacco della Roma, la Lazio annichilisce i rivali menando la danza con un gioco arioso, avvolgente.
Tutti in palla, dai centrocampisti, alla difesa, Garlaschelli con le sue serpentine fa impazzire Peccenini.
Quello un po’ in ombra è Chinaglia, al quale il dottor Ziaco ha irrorato la caviglia di anestetico e preparato uno speciale scarpino.
Si vede che è sotto tono, non essendosi mai allenato durante la settimana, tuttavia Giorgione si batte come un leone tenendo a bada l’intera difesa giallorossa.
Uno spettacolo la Lazio che intorno alla mezz’ora va in vantaggio con un bolide di Nanni da fuori area che s’insacca proprio alla convergenza dei pali, alla sinistra del portiere Ginulfi che neanche accenna al tuffo.
Una gioia irrefrenabile, uno sopra all’altro, con qualcuno che si sente male e rischia il collasso.
La ripresa è quasi accademica e la Lazio, dominando, fa suo il derby dopo sette lunghi anni e mi consente di sfottere pesantemente il mio alter-ego giallorosso rinfacciandogli l’infausto pronostico del martedì precedente.
<S’annamo a divertì, Nanni, Nanni> è il refrain laziale parafrasando il celebre motivo cantato dal romanista Lando Fiorini…
Mai come cinquant’anni fa vincemmo il derby in trasferta, mentre ai nostri giorni comunque viene assicurato un settore alla squadra ospite che nel caso delle curve dell’Olimpico porta almeno 15.000 spettatori.
Sarà stata la prima volta, l’incoscienza giovanile, ma quel tipo di attesa, di tensione, relativamente al derby, è paragonabile solo alla stracittadina del 26 maggio 2013.
“Il” derby, con in palio la Coppa Italia, che ha consacrato alla storia la S.S Lazio.