Roma, 13 ottobre – Ai tifosi più giovani il nome di Gigi Meroni dirà poco, forse nulla. Sono passati cinquant’anni da quando un tragico incidente d’auto ce lo portò via e dato che nel nostro paese la memoria storica è spesso un optional forse è normale che, per loro, sia così.
Ma per noi no, perché anche se nascevamo in quel 1967 in cui la “farfalla granata” (così era soprannominato) ci lasciò, di lui abbiamo sentito parlare per tutta la nostra gioventù ed adolescenza e siamo contenti di averlo conosciuto grazie alle immagini delle sue gesta sul campo e fuori e grazie, soprattutto, ad un bellissimo sceneggiato televisivo di qualche anno fa intitolato, appunto, “La farfalla granata”.
Meroni, infatti, era un’ala del Genoa prima, e del Torino poi, tutto estro e tecnica. Il dribbling al potere nel periodo in cui i più volevano dare il potere alla fantasia. Fine anni ’60, l’uomo giusto al posto giusto anche se nel movimento sportivo sbagliato. A quei tempi, infatti, il calcio era ancora ingessato da regole assurde e rigide, figlie di altri tempi. Conformismo puro e mai una parola fuori posto. L’Olanda del calcio totale e dei ritiri aperti a moglie e fidanzate (ma dai grandi risultati in campo) era ancora di là da venire. Figuratevi che impatto ebbe lui, così estroverso, in quell’ambiente.
Lui che viveva in una soffitta a Torino con la sua fidanzata (la convivenza di fatto non era ancora una cosa scontata come è oggi). Lui che fuori dal campo dipingeva quadri con lo stesso estro con cui, in campo, saltava i terzini avversari. Lui che girava per Torino portando una gallina al guinzaglio e che per tutti i tifosi granata e i compagni di squadra era “il nostro George Best”, come ebbe a dire Aldo Agroppi, che esordì con il Torino proprio nel giorno dell’ultima partita di Meroni. Quel Torino-Sampdoria 4-2 di domenica 15 ottobre 1967 (anche quest’anno, nel cinquantesimo della scomparsa di Meroni il 15 ottobre capita di domenica, guarda un po’) che venne deciso proprio da un gol della “farfalla” e da una tripletta di Combin. Una partita così bella che spinse l’allenatore dei granata Nereo Rocco (un altro mito di quei tempi) ad abolire il ritiro post partita e a dare una serata di libertà ai suoi ragazzi. Se non lo avesse fatto mantenendo il rigido programma che lui stesso aveva stilato, forse Meroni non sarebbe morto.
Ma con i se e i ma il mondo si fa.
Dopo la cena al ristorante con i compagni, infatti, Meroni e Poletti uscirono per andare ad aspettare sotto casa di Gigi la sua fidanzata, che era fuori. Lui non aveva le chiavi della mansarda dove abitavano perché sapeva che quella sera sarebbe andato in ritiro e il cambio di programma lo colse di sorpresa. Meroni e Poletti erano a metà della carreggiata di Corso Re Umberto e la attraversarono fuori dalle strisce. Ma scattò il verde del semaforo e i due, che erano in mezzo alla strada, fecero istintivamente un passo indietro. Una FIAT 124 proveniente dall’altra direzione sfiorò Poletti e colpì Meroni, che – sbalzato – venne investito anche da un’altra vettura. Per il ventiquattrenne che aveva già esordito in Nazionale e che una sollevazione dei tifosi granata aveva convinto la società a non cedere alla Juventus, non c’era più nulla da fare. Alla guida della Fiat 124 che investì Meroni, c’era proprio l’Attilio Romero che sarebbe poi divenuto presidente del Torino dal giugno 2000 al momento del fallimento della società, nell’agosto 2005.
Il calcio italiano perse così il suo George Best, che è però rimasto vivo nella memoria di chi lo ha visto giocare e di tutti noi che ne abbiamo sentito parlare e raccontare. Un grande bello e sfortunato che merita di essere ricordato per sempre.