Roma, Venerdì 18 settembre 2015 – Domani l’Italia debutterà nella Rugby World Cup 2015 contro la Francia a Londra, nel tempio mondiale della palla ovale.
L’occasione è giusta per ricordare un grande uomo di sport: Paolo Rosi, il primo italiano a segnare a Twickenham.
Proprio quest’anno allo Stadio Olimpico di Roma, in occasione del match del 6 Nazioni contro la stessa Francia, è stata presentata la bella biografia “Una finta a destra, una a sinistra”, autore Federico Meda (Absolutely Free Editore, 191 pp., prefazione di Giorgio Cimbrico), che ne ricostruisce in modo originale, grazie alle numerose testimonianze dirette, il percorso umano, sportivo e professionale.
Il libro si apre con la storia familiare di Paolo, figlio di Francesco, nato a Roma da genitori marchigiani di Jesi, e di Filomena, trevigiana. Proprio a Treviso durante la Grande Guerra si conobbero i genitori di Paolo, nell’estate del 1917, quando nei dintorni della città era attestata la retrovia italiana. In quel periodo Filomena, impegnata nell’assistenza ai feriti, incontrò il suo futuro sposo, soldato di fanteria. Dopo la disfatta di Caporetto del 24 ottobre, stante l’avanzata austro-ungarica nella pianura veneta, Filomena e la sorellina minore vennero mandate a Roma presso dei parenti. Finita la guerra, Francesco e Filomena convolarono a nozze. Paolo, terzogenito della coppia nato a Roma nel 1924, passerà alcuni anni dai nonni a Treviso, in una terra legata fortemente alla palla ovale.
La seconda parte è dedicata al Paolo rugbysta (1942-1954): trequarti-centro dalle caratteristiche peculiari (grande capacità nelle finte, come ricorda il titolo del libro, meno portato invece allo scontro fisico, secondo alcune testimonianze), giocò con la Rugby Roma, vincendo due scudetti nel 1948 e nel 1949, poi Olympic ’44, L’Aquila, e infine il Napoli del Comandante Achille Lauro e di suo figlio Gioacchino. Fu anche una colonna della Nazionale italiana, vestendone i galloni da capitano. L’epoca della Rugby Roma è sicuramente la fase apicale della carriera di Rosi, condivisa con i fraterni amici Piermarcello “Bubi” (detto anche “Dentone”) Farinelli e Piero Gabrielli.
L’evento memorabile resta però il match del 5 settembre 1953, celebrativo del 75° anniversario della fondazione del club Rosslyn Park. Ad affrontare a Twickenham la squadra del sud-ovest londinese venne chiamata una rappresentativa internazionale ad inviti, il C.H. Gadney’s XV: la maglia n. 12 fu assegnata al capitano della nazionale azzurra Paolo Rosi, che avrebbe segnato la prima, storica meta di un italiano nel tempio del rugby (in linea con lo spirito del personaggio, il suo laconico racconto dell’impresa era il seguente: “ ‘Na finta a destra, una a sinistra e so’ entrato in mezzo ai pali”.)
La terza parte della biografia narra le vicende del cronista sportivo. La collaborazione in RAI inizia nel 1954, all’epoca della direzione del telegiornale di Vittorio Veltroni; Paolo, vincitore del concorsone bandito dalla neonata azienda televisiva nel 1953, venne assunto l’anno successivo, frequentando subito il corso per cronisti assieme, tra gli altri, a Tito Stagno, Carlo Mazzarella, Umberto Eco, Furio Colombo e Gianni Vattimo. Rosi fece parte di una leva straordinaria di giornalisti sportivi, i cui nomi restano indelebilmente impressi nella storia dell’informazione pubblica in Italia: oltre al citato Stagno, ci preme ricordare- chiedendo venia per le involontarie omissioni- Alfredo Pigna, Beppe Viola, Adriano De Zan, Paolo Frajese, Paolo Valenti, Maurizio Barendson, Nando Martellini. La nostalgia ci assale…
Lungo è l’elenco delle imprese che, narrate dalla profonda voce di Paolo con il suo stile asciutto, originale e sapiente, sono divenute ancora più epiche. Oltre al rugby, che era il suo brodo primordiale, l’atletica leggera, il pugilato, lo sci e anche un po’ di ciclismo: la XX Olimpiade di Roma 1960, il Torneo delle Cinque Nazioni, i match Benvenuti- Griffith, l’oro olimpico di Pietro Mennea nei 200 m a Mosca nel 1980 e quello di Alberto Cova nei 10.000 m ai Mondiali di Helsinki 1983. Ultima narrazione, la medaglia del metallo più nobile del maratoneta Gelindo Bordin ai Giochi olimpici di Seoul 1988. Dopo di allora, il congedo dal servizio in RAI, seguito da un breve periodo di consulenza.
Il libro si chiude con un racconto del personaggio negli aspetti privati, trattati con garbo e rispetto, inclusa la fase depressiva dopo la pensione, accompagnata da molto whisky, che si concluderà purtroppo solo il 30 aprile 1997, quando Paolo muore a Roma a 73 anni per i postumi di un trauma cranico causato da una caduta accidentale in casa.
Questa breve recensione si chiude con alcune considerazioni.
La prima è un ringraziamento all’autore Federico Meda, il cui lavoro ci sprona a dare sempre più corpo alla nostra piccola, grande rubrica, nella certezza che le grandi imprese atletiche continuano a vivere nei racconti di sport.
La seconda riguarda il sollievo che si prova nel percorrere i luoghi della memoria e ritrovarci i nomi dei protagonisti, come lo Stadio “Paolo Rosi” all’Acqua Acetosa a Roma (dove si allena anche il nipotino di Paolo), a poche centinaia di metri da Largo Bubi Farinelli.
E infine la terza, per la quale ci prendiamo una licenza autobiografica: il conforto di aver mandato, al fischio finale del vittorioso debutto contro la Scozia nel primo 6 Nazioni del 2000, un pensiero dagli spalti del Flaminio (assieme all’amico Mauro De Iaco che quasi trent’anni fa al rugby mi ha fatto appassionare) al grande sportivo e giornalista Paolo Rosi.