La storia iniziò ad agosto ’86, già tracciata nel racconto “Un po’ di sole nell’acqua gelida”, ed ebbe il suo drammatico epilogo il 5 luglio ’87 con la partita Lazio-Campobasso, ultima spiaggia per i biancocelesti in uno spareggio dentro o fuori con i molisani.
Tre squadre, Taranto, Campobasso e Lazio, erano arrivate a pari punti nell’estenuante campionato di B al quart’ultimo posto della classifica con 33 punti ciascuna e per decretare la quarta ed ultima squadra candidata alla retrocessione ci fu bisogno di uno spareggio, appunto, a tre.
La Lazio, in effetti, di punti ne aveva fatti 42, ma per la penalizzazione inflittagli dovette arrivare all’ultima giornata col cuore in gola per evitare una retrocessione diretta.
Così dal 27 giugno ’87 cominciarono gli spareggi e per i capitolini subito una brutta caduta contro il Taranto per 0-1, una sconfitta viziata da un clamoroso goal in fuorigioco del centravanti tarantino De Vitis e quindi bisognava ricominciare tutto daccapo con un fardello psicologico pesantissimo che si sommava ulteriormente ad una stagione di per se micidiale.
Le gare di spareggio furono giocate tutte a Napoli, sede idonea per le tre società coinvolte ed altamente ricettiva per l’esodo delle tifoserie in special modo quella laziale che mobilitò nelle due partite più di 60000 tifosi.
L’autostrada del sole era un serpentone biancoceleste che ricordava il peggior traffico del G.R.A. cittadino e specialmente nell’approdo all’ultima drammatica sfida il viaggio fu condotto in un surreale silenzio.
Si arrivò quindi alla resa dei conti finale dopo che il 1 luglio, nella seconda gara di spareggi, Campobasso e Taranto avevano pareggiato per 1-1; di conseguenza nella partita finale un solo risultato era consentito alla Lazio e cioè la vittoria.
La domenica del 5 luglio non andai a Napoli e seguii la gara da casa di mia suocera con i miei figli piccoli, la femmina di tre anni ed il maschio di due, seduti sulle mie gambe in uno stato di tensione massima, susseguente ad una notte completamente insonne.
La giornata era afosa e soffocante con cielo nuvoloso sia a Napoli che a Roma ed inesorabilmente il tempo scorreva e la Lazio non riusciva a segnare, finchè al 53’ una capocciata di Poli non scaraventò palla e portiere molisano dentro la rete ed un urlo liberatorio mi uscì dalla gola con i miei figli gettati per aria nel balzo d’esultanza, a rischio che si facessero del male.
Alla fine la Lazio si salvò e “la Banda dei -9” entrò nella leggenda per un’impresa condotta da uomini veri, guidati da un grande condottiero come Eugenio Fascetti.
I laziali della mia generazione, paradossalmente, hanno amato più quella squadra che non quella dei trionfi del presidente Cragnotti, perché al di là del professionismo ci fu una vera simbiosi tra la squadra ed il pubblico che vedeva la voglia, l’impegno, l’attaccamento dei giocatori nel tentare di venir fuori da una situazione sportivamente terribile.
Quel fantastico gruppo diede corpo nella storia del sodalizio ad una svolta.
Una nuova vita!