Roma, 29 settembre 2022.
“Quando faccio una cosa mi piace farla bene” è il refrain che recita Pelè, al secolo Edson Arantes do Nascimento, nella pubblicità del deodorante Brut 33 Fabergè a metà degli anni settanta.
Credo di poter dire che la professione di calciatore Pelè la esprime al meglio e al limite delle umani possibilità, risultando, a mio personalissimo parere, il più grande di tutti i tempi.
Premesso che i paragoni sono un esercizio per chi si trascina stancamente al bar pontificando sugli eroi del calcio, ma che possono valere per tutti gli sport, come pure nella cinematografia.
Detto ciò faccio uno strappo alla regola e Pelè, scomparso oggi a 82 anni, in un prospetto relativo agli ultimi settant’anni, è il più grande di tutti.
In un profilo oggettivo diversi calciatori mostrano chi un gran destro, chi un gran sinistro, chi un grande colpo di testa, chi un gran fisico che tiene testa alle difese più agguerrite.
Pelè è dotato di tutte queste componenti contemporaneamente e in aggiunta dimostra, sin dagli esordi, di essere un “atleta”, che ai suoi tempi è un’assoluta rarità.
Vincitore di tre titoli mondiali, il primo a diciassette anni (!), con la parentesi del 1966 in Inghilterra quando viene proditoriamente massacrato con il Brasile, campione uscente, eliminato al primo turno.
I filmati che lo ritraggono nei festeggiamenti, che piange a dirotto, dopo la finalissima contro la Svezia sono struggenti per la dedica esaudita nei confronti del papà che visse la tragedia della Coppa del Mondo del 1950 perduta inopinatamente in casa contro l’Uruguay.
Quando mi chiedono quali sono i Mondiali di calcio preferiti, quelli dal ricordo più fulgido, rispondo sempre quelli di Messico ’70.
“Ma come non quelli del 1982 o del 2006 con i trionfi degli Azzurri”? Assolutamente no!
I Mondiali messicani del 1970 sono il trionfo della squadra più forte di sempre, con 5 numeri 10 che giocano tranquillamente insieme mentre gli italiani dopo cinquant’anni ancora litigano sul dualismo Mazzola-Rivera…
Tra quei 5 c’è lui, Pelè, che in età matura, quasi trentenne, gioca un Mondiale fantastico con un’umiltà tecnico-tattica al completo servizio della squadra altro che primadonna capricciosa come qualcuno dei nostri tempi.
Pelè domina la scena e secondo me il suo gesto tecnico più clamoroso non è un goal fatto ma una giocata, surreale, contro il portiere dell’Uruguay in semifinale.
Pelè lo aggira in uscita fintando un cross proveniente dalla sinistra per poi raccogliere la sfera dalla parte opposta, col portiere stramazzato in terra, incrocia il tiro che sfiora la base del palo col pubblico che quasi scende in campo per l’emozione provata.
Pelè ci segna il primo goal della finale con uno stacco di testa perfetto e contro ha il roccioso Burgnich che arriva a saltare con la mano dove il brasiliano arriva in grande coordinazione con la testa.
Lo stesso gesto tecnico lo fa nel girone eliminatorio contro l’Inghilterra, ma li c’è il signor Banks che gli ruba la scena nella “parata del secolo”.
Ho il privilegio di vederlo giocare dal vivo nel marzo del 1972 allo stadio Olimpico in un’esibizione contro la Roma.
Pelè gioca nel mitico Santos, che vince per 2-0 contro i giallorossi, ma si fa parare un rigore dal portiere romanista Alberto Ginulfi che viene omaggiato, sportivamente, dal fuoriclasse brasiliano.
Suggestiva l’esperienza di Pelè negli Stati Uniti con i Cosmos nel 1974, nel tentativo di far esplodere il ”soccer” in Nord-America che, con più o meno successo, viene poi raggiunto da altri campioni come Beckembauer, Chinaglia, Carlos Alberto.
Pelè era malato da tempo ed era nell’aria, specialmente negli ultimissimi giorni, che la sua fine fosse ormai vicina.
Tuttavia in questo tremendo mese di dicembre con gli addii di Rebellin, Adorni, Mihajlovic, pensavo che la signora vestita di nero ne avesse abbastanza. Invece no.
Mi piace pensare che adesso si darà da fare con un altro immenso ambasciatore come Alì per mettere un po’ d’ordine in questo mondo, non solo sportivo, caotico e fuori dal tempo.