Racconti di sport: “Pingeon, ladro di sogni”

Roma, 20 marzo 2017 – Prendo spunto da una notizia che ho letto stamane sulla “Gazzetta dello Sport” che riporta la scomparsa, avvenuta ieri, di Roger Pingeon, ex ciclista francese che vinse il Tour nel 1967.

 A Pingeon, ed a quel Tour del ’67 in cui era in lotta col mio idolo Felice Gimondi, mi legano ricordi relativi ad una torrida estate che passai interamente a Roma per riparare, a settembre, a ben tre materie che mi beccai al termine della prima media.

La punizione inflittami dai miei genitori consisteva nello stare sui libri di italiano e matematica  e tale supplizio lo avrei condiviso con un mio zio, laureato in economia e commercio, che mi avrebbe aiutato a superare le mie lacune.

Tutti i giorni, escluso il sabato e la domenica, mi recavo in zona Talenti, altezza Via Renato Fucini, a casa di mio zio che si mise a disposizione per aiutarmi a superare gli esami di riparazione.

Immaginate lo strazio di un ragazzino di undici anni che ogni giorno, dopo pranzo, prendeva l’autobus  da S.Agnese, dove abitavo, per arrivare a casa di mio zio, il quale per mia fortuna era appassionato di sport e nei primi giorni di quel caldissimo luglio, aspettando che arrivassi, era sintonizzato sulla Rai che stava trasmettendo il Tour de France col mitico Adriano De Zan in voce.

Colsi subito l’occasione e lo pregai di non spegnere la Tv, perché la tappa che stavano trasmettendo era importante con la scalata del leggendario Galibier ma soprattutto con Felice Gimondi in fuga verso la vittoria.

Il bergamasco vinse quella frazione con arrivo a Briancon, staccando di circa tre minuti la maglia gialla Pingeon.

Roger Pingeon era un buon corridore, non un campione, che si barcamenava come terzo incomodo tra Poulidor ed Anquetil, mostri sacri del ciclismo francese ed in quel Tour approfittò di una fuga-bidone alla 5° tappa per conquistare la maglia gialla guadagnando più di sei minuti.

La fuga-bidone, in gergo, era la classica fuga che partiva dai primi chilometri di una frazione con protagonisti, di solito di secondo piano, a cui si concedevano uscite dal gruppo e in qualche circostanza capitava  che ci si inseriva qualche favorito che approfittava  del “torpore” di alcuni  big.

Pingeon sfruttò l’occasione e sorprese Gimondi che era il grande favorito di quell’edizione del Tour e sfruttò anche il fatto che quell’anno i partecipanti alla Grande Boucle erano inseriti in squadre nazionali, per cui, al di là delle compagini d’appartenenza, si creò una difesa  appunto “nazionale” della maglia gialla.

Fino al 14 luglio di quell’anno si verificò una bell’intesa con mio zio, che mi accontentò nella visione del Tour a patto che studiassi con profitto, nel patriottico interesse di veder vincere Gimondi contro l’usurpatore, di sogni, francese; per la cronaca Felice patì una crisi nera sui Pirenei a causa di una colica intestinale nella tappa di Luchon, dove perse circa tredici minuti, ma si rifece parzialmente a due tappe dalla fine stracciando tutti sul Puy de Dome, durissima montagna del Massiccio Centrale, recuperando cinque minuti a Pingeon terminando alla fine settimo in classifica generale.

Quest’anno a luglio il francese avrebbe festeggiato i 50 anni da quel successo che però rimase episodico, unica eccezione la vittoria nella Vuelta nel ’69 ed un secondo posto sempre nello stesso anno al Tour dietro Mercks.

Caro Roger Pingeon, comunque ti ringrazio perché quell’esperienza vissuta in quel luglio di cinquant’anni fa mi arricchì molto nel rapporto con una persona più grande di me come mio zio, che mi trattò come suo pari nella condivisione di un momento di vita, di sport. Certo ti ho odiato perché non si rubano i sogni ai ragazzi, anche se sportivi. 

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