Spesso sono anche riposti in quell’immensa libreria che è il nostro cervello, la nostra memoria, appoggiati lì in qualche modo come un vecchio libro impolverato.
Poi c’è la scintilla che ce li fa riemergere ed allora riprovi, più o meno, le sensazioni della prima emozione.
Tutto questo preambolo per significare che qualche sera fa, facendo il solito zapping sui canali televisivi, ho intercettato un vecchio film del ’69 di Gillo Pontecorvo, il famoso regista de “La battaglia di Algeri”, dal titolo “Queimada”.
È stato un attimo ed oltre al piacere di rivedere un grande film, col mitico Marlon Brando e con le musiche di Ennio Morricone, mi è tornato alla mente l’episodio che sto per raccontarvi.
Era una domenica di gennaio del ’70 e con la mia famiglia andammo al cinema Europa, vicino Porta Pia, a vedere il film di Pontecorvo con inizio programmazione intorno alle ore 15, al primo spettacolo.
In contemporanea c’era ovviamente il campionato di calcio di serie A, che all’epoca aveva tutte le gare con inizio alle 14,30, e nello specifico a Roma si giocava Lazio-Bologna, seconda di ritorno. Entrai in sala con una minuscola radiolina, che portai di nascosto di mio padre per ascoltare “Tutto il calcio minuto per minuto” senza neanche l’ausilio di un auricolare, completamente appoggiata all’orecchio a bassissimo volume per non infastidire nessuno.
Dopo circa un’ora di programmazione mentre stavo seguendo per metà il film e per metà le sorti della mia Lazio riesco a percepire dalla splendida voce di Claudio Ferretti la fatidica interruzione: “scusa Ameri qui è l’Olimpico a cinque minuti dalla fine Chinaglia ha portato in vantaggio la Lazio sul Bologna”!
Mi alzo di scatto e mi esce un urlo: “goooool”! Il tutto nella sala buia dell’Europa, col film che stava andando e che fu interrotto con l’immediata accensione delle luci per capire cosa fosse successo.
Mio padre dapprima si informò dell’accaduto mostrando comunque un ghigno di soddisfazione per il vantaggio della Lazio, ma immediatamente mi diede un sonoro ceffone imbarazzato dal direttore del cinema, accorso in platea, che chiedeva spiegazioni.
La cosa si risolse solo perché il protagonista era un incosciente ragazzino di 14 anni, malato di calcio e della sua squadra del cuore che “non doveva” stare in quel posto a quell’ora; d’altra parte a quei tempi se non ti accompagnavano era difficile andare da soli allo stadio e poi il fascino della radio, a prescindere, era qualcosa di magico che superava qualsiasi barriera.
La proiezione riprese dopo circa una ventina di minuti e ricominciammo a vedere Queimada”; per la cronaca il film narrava di un’immaginaria isola caraibica alle prese con un tentativo di rivoluzione contro la dominazione portoghese per il controllo della coltivazione della canna da zucchero. Marlon Brando, Sir William, era un plenipotenziario inglese incaricato da Sua Maestà di organizzare tale rivoluzione per dare successivamente una finta indipendenza, col controllo britannico.
Sir William reclutò tra gli indigeni una figura che doveva essere il traino per la ribellione ed addestrò un certo Josè Dolores, l’attore era Evaristo Marquez, alla bisogna.
Nel mio immaginario di giovane sognatore Josè Dolores era Giorgio Chinaglia, che sdoganò e riappropriò il popolo laziale di un’identità perduta e vincente negli anni a venire, così come Dolores portò all’indipendenza la sua isola.
La storia finirà tragicamente con un rovesciamento delle parti dove William/Brando qualche anno dopo catturerà Dolores nel frattempo divenuto, per le autorità locali, estremamente scomodo. Quasi come Chinaglia, morto in esilio quattro anni fa con accuse di riciclaggio di danaro, in parte rientrate, per il tentativo di scalata della Lazio di Lotito.
Ma questa è un’altra faccenda!