Roma, 14 marzo 2019 – Dicesi TRAP il genere musicale, nato agli albori del nuovo millennio negli U.S.A. per derivazione dallo hip hop, che affronta temi di disagio sociale urbano, tipicamente degli Stati del Sud, tra violenza, criminalità, droga, povertà e emarginazione. Il termine discende dalle “trap houses”, appartamenti abbandonati dei sobborghi dove si pratica lo spaccio.Questo è il significato che la generazione dei millennials può comprendere nella sequenza di quattro lettere T-R-A-P.
Per chi invece proviene dal XX secolo e risiede in Italia, questa parola ha tutto un altro significato, ed è preceduta dall’articolo determinativo maschile: è IL TRAP, al secolo Giovanni “Giuanin” Trapattoni da Cusano Milanino, classe 1939, che il 17 Marzo, giorno di San Patrizio, compie ottant’anni, con la grinta di sempre.
Da calciatore, dopo gli inizi nella squadra della sua cittadina dell’area metropolitana milanese in riva al Fiume Seveso, quasi quindici anni con la maglia del Milan tra il 1957 e il 1971, molti dei quali sotto la guida del paròn Nereo Rocco, di cui è l’erede indiscusso come allenatore. L’addio al calcio giocato nella stagione 1971-72 nelle fila del Varese. Da giocatore coi rossoneri vinse due scudetti, una Coppa Italia, due Coppe dei Campioni e una Coppa Intercontinentale.
Diciassette le presenze con la maglia azzurra dell’Italia, inclusa la partecipazione ai Giochi Olimpici di Roma del 1960 e la convocazione nella selezione per i Mondiali in Cile del 1962, in cui però non poté scendere in campo per infortunio. In azzurro l’acme fu l’incontro Italia- Brasile a Milano nel 1963, in cui il caparbio centrocampista lombardo marcò serratamente il signor Edson Arantes do Nascimiento, in arte Pelè, che venne addirittura sostituito dal suo allenatore.
Ma il meglio doveva ancora venire, e il Trap le stagioni migliori le avrebbe vissute seduto in panchina. Dopo gli esordi con il Milan, il decennio 1976-1986 alla guida della Juventus, una squadra che da sola costituiva l’ossatura della Nazionale di quei tempi (quarta ai mondiali argentini 1978 e trionfatrice al Mundial spagnolo 1982): Zoff, Cuccureddu, Gentile, Furino, Scirea, Cabrini, Tardelli, Causio, Paolo Rossi, Bettega, per citarne alcuni di quegli anni, e ci perdonino quelli omessi per ragioni di spazio.
Poi, dopo la riapertura delle frontiere negli anni ’80, i rinforzi stranieri; tra tutti l’irlandese Liam Brady, il primo, per arrivare alla coppia Zibì Boniek- Michel Platini. Una squadra stellare, che sicuramente vinse meno dei bianconeri dell’epoca attuale oggi guidati da Cristiano Ronaldo, ma sarà in eterno circonfusa da un’aura di leggenda sportiva. Sette scudetti e due Coppe Italia per la prima Juve targata Trap, più la prima storica Coppa Uefa del 1977 contro l’Athletic Bilbao, una Coppa delle Coppe, la tragica Coppa dei Campioni 1985 all’Heysel di Bruxelles, una Coppa Intercontinentale e una Supercoppa europea. Praticamente un percorso completo.
Fu quindi il periodo all’Inter, con la conquista dello scudetto 1988/89 per una squadra a digiuno da dieci anni (dopo l’era Bersellini), una Coppa Uefa e una Supercoppa Italiana. Un ritorno di fiamma sulla panchina bianconera, dal 1991 al 1994, giusto il tempo di mettere in bacheca una seconda Coppa Uefa.
Dopo di allora l’esperienza all’estero al Bayern Monaco, nella seconda metà degli anni ’90, in due fasi intramezzate da una parentesi poco fortunata al Cagliari, finita con dimissioni. Anche in Germania il Trap ha timbrato a dovere il cartellino: un titolo di campione della Bundesliga, una Coppa nazionale e una di Lega.
Poi due anni alla Fiorentina alla fine degli anni ’90, e un campionato sfumato per la perdita per infortunio del trascinatore Batistuta in una fase cruciale della stagione.
A livello di Club a metà degli anni 2000, tanto per gradire, un campionato portoghese con il Benfica e uno austriaco con il Salisburgo. In mezzo, la parentesi alla guida della Nazionale italiana, con le due ingiuste e vergognose eliminazioni di un’ottima squadra, al Mondiale nippo-coreano del 2002 (la Corea del Sud e l’ignobile arbitro Byron Moreno) e poi all’Europeo portoghese del 2004 (il “biscotto scandinavo” di Danimarca e Svezia). Squadre che meritavano di alzare una Coppa, sicuramente più di quella assai fortunata del 2006.
E ancora il Trap sfortunato alla guida della nazionale della Repubblica d’Irlanda dal 2008 al 2013, con il fido Tardelli come viceallenatore, e una qualificazione al Mondiale sudafricano del 2010 scippata da un plateale gol di mano del francese Henry nello spareggio.
Adoriamo del Trap lo sguardo spiritato da folletto dagli occhi azzurri, i fischi alla pecorara così fuori moda, le boccette di acqua santa della sorella Suora con cui con nonchalance bagnava di tanto in tanto l’erba attorno alla panchina nei momenti cruciali venendo sorpreso dalla telecamere, il più strampalato proverbio mai coniato “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”. E i meritatissimi successi, in barba alla fama di catenacciaro impropriamente attribuitagli.
Ma su tutto è stato ammirevole il suo cimentarsi coraggiosamente, già quasi sessantenne, nella ostica lingua tedesca, e memorabile fu la conferenza stampa come allenatore del Bayern, in cui infuriato strigliava in contumacia i suoi giocatori, e uno in particolare, Strunz, con cui sfogò tutta la sua italica arrabbiatura. Da rivedere all’infinito (https://www.youtube.com/watch?v=5cgLqfdAgK4), con immensa ammirazione, fino all’epilogo “Ich habe fertig!”. Sgrammaticata? Forse un poco, ma voglio veder chiunque al suo posto. Si capiva tutto, eloquio fluente e concetti chiari.
Tanti auguri grande OttanTrap, ti amiamo, alla faccia di tanti Carneadi di tutti i paesi che vengono in Italia e non sanno spiccicare due parole in croce.