Una leggenda di nome Tazio
(mille miglia)
Roma, 8 novembre – Siamo quasi all’epilogo del campionato mondiale di automobilismo, Formula 1, ed è l’ennesimo anno di delusione della Ferrari.
Al di là dell’aspetto puramente tecnico-sportivo, ci sono state situazioni che hanno stravolto il management in maniera chirurgica segnando in maniera epocale l’attuale presente ed anche il prossimo futuro.
Vogliamo però parlarvi, esorcizzando tutte le ultime negatività sportive, di “MITI” dello sport, vere e proprie leggende che hanno significato anche e soprattutto il costume della nostra società. Ed a proposito di Formula 1, il profilo è relativo alla figura di Tazio Nuvolari, il “mantovano volante”. Ai giovanissimi può voler dire poco questo nome nell’epoca degli Hamilton, Vettel, Alonso o degli Schumacher, ma Ferdinand Porsche, costruttore di origini austriache, dettò un epitaffio lineare, senza possibilità di replica: “Nuvolari è il più grande corridore del passato, del presente e del futuro”.
Pilota in senso esteso, pilota della vita, capace di sopravvivere a incidenti, tragedie familiari, incontri dannunziani e strette di mano con feroci dittatori d’epoca.
Nuvolari è molto ironico ed autoironico, di taglia minuta, 1,60 d’altezza per 60 chili d’ossa, come recitava Lucio Dalla nella celebre canzone a lui dedicata.
Nasce come pilota di motociclette, ma è sulle auto che costruisce la sua epica. Un mix di vittorie ed incidenti come al G.P. di Germania al Nurburgring nell’agosto del 1935 al volante dell’Alfa Romeo della scuderia Ferrari che all’ultimo giro superò la Mercedes di casa con Hitler e tutto il suo apparato in tribuna già pronti ad issare la bandiera del Reich al primo gradino del podio o come nella vittoria del 1930 nella Mille Miglia, passata alla storia per il trucco “dei fari spenti” dove Nuvolari insegue Varzi per tutta la corsa su e giù per tutta l’Italia e lo supera con uno stratagemma: quando sente l’odore del gas di scarico ed il rumore del motore, spegne le luci e lo coglie di sorpresa.
Nuvolari scampò a 7 uscite di pista o di strada in potenza mortali, con ossa rotte, ustioni, botte alla testa, abrasioni. Nel 1936 a Tripoli, in prova, sbatte contro un terrapieno e vola nella sabbia. All’ospedale gli diagnosticano lesioni al collo e gli prescrivono un mese di assoluto riposo. Il giorno successivo si fa imbragare nell’abitacolo e gareggia: 500 km. di circuito, 40 gradi di temperatura e forti dolori alla testa non gli impediscono di arrivare 8°.
Quando cadde da una moto durante una gara venne dato per morto da alcuni giornali. Intervistato in seguito dichiarò: “Se qualcuno vi dice che sono un cadavere, aspettate tre giorni prima di piangere perché con me non si sa mai”.
Erano certamente altri tempi, altri mezzi ed altre concezioni relative al modo di fare sport, ma questi episodi che abbiamo appena descritto, e naturalmente molti altri ancora che non raccontiamo per brevità, appartengono ad un uomo in età avanzata essendo il “nostro” nato nel 1892.
Oggi sarebbe impensabile raccontare di un impresa, l’ultima sua vittoria, compiuta a 55 anni su Ferrari nel 1947.
Le ferite più gravi tuttavia Nuvolari le riportò nella vita di tutti i giorni: i suoi figli Alberto e Giorgio morirono entrambi a 18 anni a causa di malattie polmonari.
Abbiamo detto di Nuvolari “pilota della vita”.
In tale contesto si ricorda il celebre incontro nel 1932 col poeta Gabriele D’Annunzio avvenuto a Gardone, sul lago di Garda.
Il Campione arriva davanti alla villa del Poeta a bordo di un bolide rosso fiammeggiante, si presenta ed iniziano un lungo e cordiale colloquio che termina con un dono, una spilla, che D’Annunzio consegna al Campione. La spilla ripropone una tartaruga d’oro con una dedica: “all’uomo più veloce, l’animale più lento”. Nuvolari non si separò mai da questo regalo che diventò il suo marchio porta-fortuna.
Oltre che grande nel suo sport, Nuvolari visse intensamente i suoi tempi, fu un vero dandy: amava comprare camicie, cravatte e scarpe nei migliori negozi di Londra, curava ogni dettaglio e non usciva di casa se non era in perfetto ordine.
La sua carriera di pilota è racchiusa in questa cifra: tra moto ed auto Nuvolari salì per 105 volte sul gradino più alto del podio.
Morì nella sua Mantova nel 1953 a sessant’anni, causa una malattia polmonare. Come i suoi poveri figli.
GALLERIA FOTOGRAFICA TRATTA, SU GENTILE CONCESSIONE, DAL MUSEO “TAZIO NUVOLARI”
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