Roma, 18 gennaio – Di solito andiamo ad omaggiare o ricordare delle ricorrenze “tonde” ma non è questo il caso perché la storia di Luciano Re Cecconi, uno dei capisaldi del primo scudetto della Lazio di Maestrelli, è quella di una drammatica uccisione accaduta trentanove anni fa.
Vicenda pazzesca che nel corso degli anni ha visto accavallarsi varie verità, la prima delle quali fu quella certificata nel frettoloso processo celebrato nel giro di due mesi dalla tragedia e che attribuiva al povero Luciano l’espressione: ”questa è una rapina” all’interno della gioielleria teatro del dramma.
Si, perché tutto avvenne nel tardo pomeriggio del 18 gennaio 1977 quando Re Cecconi insieme al compagno di squadra Ghedin si trovava al quartiere Fleming, Roma nord, insieme ad un comune amico profumiere che gli chiese di accompagnarlo presso un negozio per una consegna.
Il negozio in questione era una gioielleria che nei mesi precedenti era stata presa di mira un paio di volte da tentativi di rapina ed il proprietario viveva uno stato di forte tensione. Il periodo storico era particolare, eravamo nel pieno degli anni di piombo con l’apice quattordici mesi dopo del “delitto Moro”.
Appena entrati nel negozio fu un attimo ed il gioielliere, in pieno stato ansioso, prese la pistola e la puntò contro Ghedin che ebbe la presenza di spirito di alzare le mani in segno di resa; repentinamente il negoziante prese di mira Re Cecconi e sfiorando appena il grilletto, molto sensibile, partì il colpo mortale contro il petto del povero Luciano che crollò a terra.
La tesi della difesa poggiò molto sul fatto che il gioielliere non riconobbe i giocatori della Lazio perché non li conosceva non essendo un appassionato di calcio, oltre al già ricordato stato di tensione per le rapine subite. Ma la cosa singolare è che sin dalle prime battute tutti gli organi d’informazione raccontarono, come detto in principio, della frase “questa è una rapina” che Re Cecconi avrebbe detto, a sostegno del fatto che si trattava di uno scherzo mal riuscito.
Il giornalista e scrittore Maurizio Martucci è stato il primo nel 2012, attraverso il suo libro “Non scherzo, la verità calpestata”, a mettere in dubbio la versione della finta rapina, ripercorrendo gli atti processuali ed approfondendo varie testimonianze. Tra l’altro svelò la presenza di un documentario RAI addirittura prodotto nel ’83 e mai mandato in visione.
Il tempo, nel suo essere galantuomo, ha ribadito quello che era più logico pensare e cioè che un ragazzo di ventotto anni, padre di due bambini piccoli, da tutti i compagni di squadra soprannominato “il saggio” non poteva aver mai detto quella frase, per di più nei confronti di una persona che non conosceva.
E’ stato facile confezionare il “pacchetto” del giocatore viziato, da collocare politicamente in una certa area visto anche l’hobby del paracadutismo, appartenente ad una società di calcio che è sempre stata attaccata per convenzione da una facile stampa.
Sta di fatto che, fatto salvo l’uomo, il padre di famiglia, la Lazio, per rimanere al nostro argomento sportivo, perse uno dei giocatori più forti della sua storia centenaria, un grande centrocampista, uno dei pupilli di Tommaso Maestrelli, il Suo angelo…..biondo!