Riva e Chinaglia reti a mitraglia.

Particolare parallelismo nella scomparsa dei due cannonieri.

Roma, 7 febbraio 2024

 

Adesso che sono passati più di quindici giorni dalla scomparsa di Gigi Riva, dove tutto il mondo ha espresso ricordi più o meno sentiti, approfitto per fare una comparazione prima che scenda l’oblio.

Come già scritto nel pezzo pubblicato lo scorso 22 gennaio, Riva è stato un primo idolo adolescenziale, trasversale, che ha stregato un po’ tutti.

La sua espressione di pura potenza e il suo sinistro travolgente, sul finire degli anni sessanta, hanno accompagnato e certificato la definitiva rinascita del calcio italiano.

Come pure la consacrazione del suo Cagliari e lo sdoganamento di tutta la Sardegna da pregiudizi e luoghi comuni triti e ritriti.

Proprio in questi ultimi giorni mi sono tornate alla mente alcune similitudini con quello che poi diventerà, dall’estate del 1969, il mio idolo calcistico assoluto: Giorgio Chinaglia.

“Riva e Chinaglia reti a mitraglia” recitava uno striscione sulle tribune dello stadio Olimpico, domenica 12 aprile 1970, dove si sarebbe giocata Lazio-Juventus in contemporanea a Cagliari-Bari a due giornate dalla fine del torneo 1969/1970.

Il doppio 2-0 delle vittorie di Lazio e Cagliari certificarono la conquista matematica dello storico scudetto per i sardi, con Chinaglia che idealmente consegnò il tricolore a Riva.

Ma già i due si erano conosciuti nel 1967 durante il servizio militare nella Compagnia Atleti della Cecchignola a Roma, facendo gruppo insieme a Dino Zoff e Giancarlo Oddi.

L’infanzia e l’adolescenza di Riva sono state durissime, nella sperduta provincia varesina, con la perdita di entrambi i genitori e la conseguente frequentazione di un collegio, freddo e opprimente, che hanno indurito il carattere di Gigi.

Chinaglia, nato nell’entroterra di Carrara, ha patito gli stenti della fame accudito da nonna Clelia in assenza dei genitori emigrati in Galles, alla ricerca di un lavoro.

La cosa pazzesca è che fu messo su un treno a soli 5 anni (!) in un viaggio che l’avrebbe portato in Gran Bretagna a ricongiungersi con i genitori.

Il carattere schivo, ombroso, di Riva lo porterà pian piano a manifestarsi aperto e determinato verso la sua passione calcistica.

Giorgio, più estroverso, dovrà misurarsi con la dura realtà della vita di emigrante con inevitabili difficoltà legate alla condizione di essere italiano.

Riva trasferitosi in Sardegna a diciotto anni, che all’epoca nei primi anni sessanta era quasi sinonimo di confino, ne diventa il simbolo calandosi in un contesto di estrema dignità cavalcando una forma di riscatto sociale, da isola marginale a isola del tesoro.

Chinaglia, dopo tre anni di (ri)assuefazione nella provincia calcistica italiana, dal 1966 al 1969, sbarca a Roma, sponda Lazio, nell’estate del 1969; una sorta di avvento che per i laziali fa passare in retroguardia lo storico sbarco sulla Luna.

Storico, come detto, lo scudetto del Cagliari nel 1970 con Riva autentico trascinatore e capocannoniere del campionato.

Altrettanto storico il tricolore della Lazio nel 1974, dove appena due anni prima la squadra pativa l’inferno della serie B, con Chinaglia massimo realizzatore del torneo.

L’incredibile rapporto che i due hanno avuto con i loro allenatori, Riva con Manlio Scopigno e Chinaglia con Tommaso Maestrelli.

Scopigno dissacrante, ironico, finto cinico, detto “il filosofo”, che si rapportava a Gigi attraverso poche parole, bastava un’occhiata.

Maestrelli ha smussato il bizzoso carattere di Giorgione con un quotidiano lavoro psicologico, proteggendolo ed accompagnandolo nei rapporti, oltre che con i compagni di squadra, col mondo esterno.

Tutti e due, dopo aver smesso di giocare, sono diventati Presidenti delle loro squadre e tutti e due, in situazioni diverse, non sono riusciti ad evitare sanguinose retrocessioni.

Negli anni che passano rimangono indelebili le loro imprese, attraverso ricordi nostalgici che in qualche occasione hanno suscitato la facile ironia di tifoserie più avvezze ai successi.

Comunque mai ripudiati, sempre osannati, a ribadire un amore assoluto.

Sono stati protagonisti di riferimenti sia cinematografici che musicali.

Riva cantato dalla Raffaella (Carrà) nazionale in un’edizione di Canzonissima, oltre che da Piero Marras, cantautore nuorese nel pezzo “Quando Gigi Riva tornerà”, inserito nello splendido film di Riccardo Milani “Nel nostro cielo un rombo di tuono”.

Chinaglia addirittura cantante, “I’m football crazy”, nella colonna sonora del film “L’arbitro”, parodia di Lando Buzzanca su Concetto Lo Bello; citato da uno dei primi successi di Rino Gaetano, “Mio fratello è figlio unico”, come Marras anche Toni Malco in “Quando Giorgio tornerà”, oltre ad una comparsata cinematografica nel film “La farfalla dalle ali insanguinate” al fianco di Giancarlo Sbragia.

Ma la cosa che più mi ha fatto pensare in questa sorta di cammino parallelo, ricordando anche alcune prove come opinionisti di calcio in varie TV, è la loro uscita di scena.

Sia Gigi che Giorgio sono arrivati al capolinea con gravi problematiche cardiache.

Tutti e due, grandi fumatori e consumatori d’alcool, sono arrivati ad avere le coronarie in pessimo stato.

A Chinaglia misero ben 4 bypass, fu dimesso dopo un paio di giorni dall’operazione ma morì nel sonno a soli quattro giorni dall’intervento. Come è possibile?

Riva, dopo aver superato una prima crisi lo scorso sabato 20 gennaio, addirittura sembra aver rifiutato il necessario intervento di angioplastica uscendo di scena lunedì 22 gennaio.

E’ vero che i Miti, in questo caso gli Dei del calcio, NON muoiono mai ma nel caso di Gigi e Giorgio arrivo a pensare che i due si siano lasciati andare.

Ed è una contraddizione in termini se pensiamo a come hanno lottato e patito nella loro vita, a come hanno trascinato due realtà come il Cagliari e la Lazio a trionfi inimmaginabili.

Sia Gigi che Giorgio sono giunti all’ultima chiamata in preda a forte depressione.

Riva, confinato nella sua casa di Cagliari, non usciva più e al massimo riceveva la visita dei due figli e delle nipoti.

Chinaglia viveva solo, in Florida, divorziato dalla prima moglie, con rapporti faticosamente ripresi con i suoi tre figli, macerato dal fatto di non poter rientrare in Italia per problemi legati a presunte frequentazioni camorristiche, sostenuto di tanto in tanto da un figlio adottivo.

Nella vita probabilmente si arriva ad un certo punto che anche persone dalla forte personalità, dalla grande fama e visibilità, dicono basta e mollano la compagnia.

I nostri due EROI che probabilmente lassù magari discuteranno per chi dovrà battere il primo calcio di rigore che capiterà.

Gigi e Giorgio, quasi uno scioglilingua…

 

 

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