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Roma, 27 luglio 2020. La data di oggi è uno spartiacque di quello che successe 40 anni fa ai Giochi della XXII Olimpiade a Mosca, tra il 26 e il 28 luglio 1980.
Sabato 26 è il giorno di Sara Simeoni, veronese del 1953 primatista mondiale nel salto in alto femminile con la misura di 2.01 ottenuto due anni prima a Brescia, in finale coi favori del pronostico anche in virtù dell’argento conseguito quattro anni prima a Montreal. Lunedì 28 è il giorno di Pietro Mennea, barlettano del 1952, la freccia del Sud, primatista del mondo nella specialità dei 200 piani con 19’’72, anche lui favorito oltre che per il record conquistato nel settembre del 1979 alle Universiadi di Città del Messico anche per l’assenza degli sprinter statunitensi per il boicottaggio contro il regime sovietico che qualche mese prima aveva invaso l’Afghanistan.
Due atleti, due certezze dell’atletica azzurra, consolidate sia in Europa che nel mondo, che però hanno in comune un approccio singolare, inaspettato, alle loro finali. Sara Simeoni sempre tranquilla, concentrata, tradisce il ruolo di favorita ed accusa un attacco di panico che gli mette in discussione tutti i suoi parametri; fa finta di niente per non svelare alle sue rivali il suo stato d’animo e con l’aiuto del suo allenatore piano, piano si sblocca dopo aver patito un’ultima apprensione nei salti di riscaldamento.
Pietro Mennea rivela tutta la sua complessa ed inestricabile personalità in una sorta di autoflagellazione caratteriale che lo porta quasi a voler rinunciare alla finale, complice anche una sanguinosa eliminazione nella semifinale dei 100 metri assolutamente inaspettata. Mennea non è un personaggio semplice, pochi sorrisi, sempre in contrasto col mondo intero e in qualche circostanza in lite anche col suo mentore, il suo allenatore, prof. Carlo Vittori.
La Simeoni, dopo le angosce iniziali, si libera con la classe che gli è propria; i suoi movimenti tecnici sono arpeggi musicali e vola verso l’ORO con la misura di 1,97 battendo quella bestiaccia della Ackermann e libera, dopo la gara, le sue emozioni in un pianto a dirotto.
Mennea, tanto per gradire, maledice tutto l’universo per l’assegnazione dell’ottava corsia, la peggiore perché ti fa partire in testa ma senza punti di riferimento e con l’handicap psicologico di venir presto rimontati. Il prof. Vittori lo tranquillizza: <<non ti preoccupare, dopo 30 metri ti avranno già ripreso e prima del rettilineo finale sarai tra la 3° e la 4° posizione, poi scatena la tua resistenza alla velocità>>.
Andrà proprio così e finalmente la freccia del Sud corona il sogno che a 16 anni lo vide innamorarsi di Tommie Smith, trionfatore nei 200 metri dell’Olimpiade di Città del Messico nell’ottobre del 1968.
Sara Simeoni e Pietro Mennea, due normo-dotati così diversi ma simili nella determinazione, nella cultura del lavoro, nel rispetto delle regole in un tempo dove già giravano pratiche doping che si sarebbero ulteriormente materializzate e affinate nel corso degli anni ’80.