Roma, 6 novembre 2017 – Nessuna squadra italiana era mai riuscita a vincere nel mitico Anfield Road del Liverpool. Nessuna fino al Genoa di Bagnoli e di capitan Signorini, che in quel quarto di finale della Coppa UEFA 1991-92 passò per 2-1 costringendo la Cop, la curva dei tifosi più caldi del Liverpool, ad applaudire i giocatori rossoblu a fine gara. Un tributo sportivo e indimenticabile per tutti quelli che la giocarono e per i tifosi genoani al seguito. Gli stessi che oggi, prima delle partite della loro squadra a Marassi, intonano quel “You’ll never walk alone” che è da sempre l’inno di quelli del Liverpool. Un inno che sarebbe piaciuto moltissimo al capitano di quella sera, Gianluca Signorini, professione libero e leader di una squadra che nessun tifoso rossoblu potrà dimenticare. Come non potrà mai dimenticare lui, portato via esattamente quindici anni fa (il 6 novembre del 2002) dalla sclerosi laterale amiotrofica (conosciuta anche come Morbo di Lou Gehrig o SLA), malattia che conduce alla perdita progressiva e irreversibile del controllo dei muscoli scheletrici e quindi alla morte. In suo onore il Genoa ha ritirato per sempre la maglia numero 6, la stessa che indossava quella sera a Liverpool e che mise in tutta la sua splendida avventura in rossoblu.
A lanciarlo nel grande calcio, dopo alcuni campionati vissuti nelle serie minori, era stata la Roma di Viola, che lo aveva acquistato nell’estate del 1987 dal Parma su espressa richiesta di Nils Liedholm, tornato per la terza volta in carriera sulla panchina giallorossa. Quel difensore centrale, infatti, gli piaceva da morire e così, per presentarlo bene alla gente, lo definì un nuovo Baresi. E non a caso in molti, ancora oggi, ritengono che proprio il modo di giocare di Signorini abbia influenzato molto l’asso e capitano del Milan e della nazionale. Ma l’iperbole di Liedholm, che pure tanto iperbole non era, finì col rovinare il povero Gianluca, che forse soffrì troppo il salto dalla piccola e quieta Parma alla nevrotica e calda Roma. Qui, poi, venne a trovarsi in una difesa lenta per natura, in cui come compagno aveva un Collovati sul viale del tramonto. Inoltre, come il resto della squadra, si trovò in mezzo alle mille contestazioni successive all’acquisto del nemico storico Manfredonia al posto di un Ancelotti lasciato partire verso il Milan in quanto ritenuto definitivamente rotto. Il clima pesante provocato da questa operazione di mercato portò alla spaccatura del Commando Ultrà e del tifo in generale, cosa che, ovviamente, non facilitò l’inserimento dei neo arrivati. Nonostante ciò, però, la Roma riuscì lo stesso a disputare un campionato dignitoso, tanto che per un certo periodo lottò addirittura per lo scudetto col Milan di Gullit e il Napoli di Maradona. A trascinarla ci pensò Giannini (autore di 11 gol), mentre dietro la strana coppia Collovati-Signorini teneva abbastanza bene, anche se per caratteristiche fisiche soffriva enormemente gli attaccanti rapidi e veloci. Insomma, il ragazzo venuto da Parma alla fine non sembrava così male come molti dicevano e alla fine disputò ben 29 partite delle 30 in programma, saltando solo quella di Firenze, dove tra l’altro la Roma perse per 1-0. Dopo un campionato più che discreto venne ceduto al Genoa nel settembre del 1988 e per lui si aprirono gli orizzonti della gloria. In rossoblu, infatti, si prese tutte le rivincite possibili verso chi, nella Capitale, non aveva creduto nelle sue qualità. E ancora oggi, per i tifosi genoani, è e resterà per sempre “il capitano”.