Roma, 9 marzo – Ma l’americano Bobby Fischer che nel 1972 sconfisse il russo Boris Spasskij nella partita a scacchi più famosa della storia, al punto di essere definita “il match del secolo”, era davvero pazzo? Oppure era semplicemente introverso, timido e psicologicamente instabile?
Forse più questa seconda versione che la prima, anche se fino all’ultimo momento prima di entrare in scena non era sicuro di giocare, tanto che per convincerlo a farlo ci volle addirittura l’intervento del segretario di Stato americano Kissinger.
E già, perché quella partita a scacchi, che durò da luglio a settembre, era diventata molto di più di una semplice partita a scacchi. Era Usa e Urss che ai tempi della Guerra Fredda si sfidavano in un gioco nel quale la seconda eccelleva da ben 35 anni, visto che per i russi gli scacchi erano un vero e proprio sport nazionale, al punto che in tutto il Paese c’erano scuole finanziate dallo Stato in cui si insegnava il gioco. E forse, a pensarci bene, solo ad un “orso” caratteriale come l’americano Fischer poteva riuscire l’impresa di sconfiggere “l’orso sovietico” nello sport che amava di più quel 3 settembre del 1972, quando trionfò con 7 vittorie, 11 pareggi e 3 sconfitte che fecero appassionare agli scacchi i milioni di persone che in tutto il mondo seguirono il match alla televisione.
Spasskij-Fischer, infatti, era diventato uno dei tanti duelli a distanza tra le due superpotenze che a quei tempi si dividevano il mondo e anche per questo la sfida si svolse in campo neutro, a Reykjavik, in Islanda, una nazione a metà strada tra le due antagoniste.
Da una parte, a guardarla in tv, c’era il capo supremo dell’Urss Leonid Breznev e tutto il Politburo russo.
Dall’altra c’era Richard Nixon e tutta la sua amministrazione, che di lì a poco sarebbe stata travolta dallo scandalo passato alla storia con il nome di Watergade.
Per Fischer tifavano le genti che stavano al di qua della Cortina di Ferro (se vista dalla nostra parte), per Spasskij quelle che stavano di là.
La vittoria, però, non fu ben gestita da Fischer, che si rivelò una meteora, tanto che uscì presto di scena, pare perché cominciò a chiedere dei compensi altissimi per tornare a giocare.
Così, nel 1975, la Russia si riprese il titolo mondiale grazie ad Anatolij Karpov e alle solite “mattane” di Fischer, che si rifiutò di affrontarlo per difendere il titolo e sparì di scena per venti anni, rifiutandosi di giocare a scacchi in pubblico. Karpov, il nuovo campione, era comunque un altro forte davvero e le sue imprese furono poi seguite da quelle del connazionale Garry Kasparov.
La parentesi statunitense che nel gioco degli scacchi aveva interrotto il dominio sovietico si era definitivamente chiusa.
Ma quel “pazzo” di Fischer, che poi riapparve nel 1992 nella ex Jugoslavia per concedere la rivincita all’amico Spasskij fregandosene dell’embargo, ormai era entrato nella leggenda.