Roma, 1 settembre 2018
Il ciclismo ha rappresentato per moltissimi anni, nello sport, tutto ciò che poteva identificarsi con la fatica, la sofferenza, l’estremizzazione del sacrificio, specialmente nella figura del gregario che raccoglieva borracce e passava le ruote al proprio capitano.
In questo contesto innumerevoli erano le figure di uomini che venivano, nella maggior parte dei casi, dai ceti più bassi, persino analfabeti, che speravano con la pratica sportiva di affrancarsi da una vita di stenti.
Molto più del calcio, almeno fino a metà anni ’60, la bicicletta era la massima espressione di questi personaggi, alcuni dei quali però mostravano un tratto, una signorilità innata. Facile esemplificare il ricordo su Fausto Coppi, assoluto signore nel portamento, arrivato a parlare correntemente il francese pur provenendo da un’istruzione limitata e da una realtà prettamente contadina.
Il protagonista del nostro racconto è Vittorio Adorni, che proprio oggi festeggia 50 anni dal suo trionfo mondiale di Imola 1968 con una vittoria strepitosa ottenuta con un distacco che a tutt’oggi rappresenta un record imbattuto, 9’50’’ sul belga Van Springel.
Adorni, 80 anni ben portati, parmense, ai tempi del “ciao mamma, son contento di essere arrivato uno..”, è stato un personaggio opposto a quella tipologia appena descritta, dotato di una classe naturale nell’azione ciclistica e disponibilità dialettica non comune senza avere di suo un grado d’istruzione elevato.
A quei tempi nella mitica trasmissione “Processo alla tappa”, condotta da Sergio Zavoli nel dopo corsa, era il personaggio più ricercato completamente a suo agio davanti alle telecamere, tant’è che nello stesso ’68 insieme alla star Liana Orfei gli fecero presentare il quiz “Ciao mamma” sulla seconda rete Rai.
L’impresa epica che compì Adorni a Imola fu una sorta di pazzia perché dopo appena 40 km. dall’inizio, su un totale di gara di 277 km., partì una fuga di sette corridori, tra cui il nostro, che accumulò subito un bel vantaggio ed a 90 km. dall’arrivo la stoccata finale dell’azzurro che gli consentì di accumulare il cospicuo vantaggio sopra descritto.
C’è da dire che il gioco di squadra organizzato dall’allora CT della nostra Nazionale Mario Ricci fu un capolavoro di sagacia tattica, con ogni azzurro che aveva da marcare un corrispettivo straniero, tra i quali Gimondi che si occupava del favorito Merckx; nel calcio all’epoca si sarebbe parlato di marcatura ad uomo!
La corsa, molto dura su un circuito che prevedeva più volte la salita dei Tre Monti, decretò nel finale l’apoteosi degli azzurri con ben 5 corridori tra i primi 6 e Adorni festeggiò la sua lucida follia a braccia alzate sul traguardo.
Il mio personale ricordo, davanti ad uno scassatissimo televisore Minerva a valvole…, è legato a mio padre, grande appassionato della bicicletta, che si commosse nel vedere un azzurro che finalmente riconquistava il mondiale dopo lunghi dieci anni dal successo di Baldini nel ’58.
L’iride di Imola fu il picco più alto della carriera del parmense, arricchita dalla conquista di un Giro nel ’65, da un secondo posto mondiale nel ’64 e vari ottimi piazzamenti nelle classiche “monumento” del ciclismo mondiale.
In questi giorni, a Parma nella sua città fino al 9 settembre, in una piccola chiesa sconsacrata viene celebrata l’impresa del ’68 attraverso centinaia di foto in bianco e nero col patrocinio del comune e della Fondazione Sport Parma e naturalmente alla presenza di Vittorio Adorni, il gentleman del ciclismo italiano.