Un secolo di Coppi.

Cento anni fa nasceva il Grande Airone.

Roma, 13 settembre 2019.  <<Un uomo solo al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi>>. Il 10 giugno del 1949 per la prima volta il radiocronista Mario Ferretti pronuncia questa frase mentre racconta l’impresa di Coppi al Giro d’Italia nr. 32 nella tappa Cuneo-Pinerolo, dove il Campionissimo trionfa dopo una fuga solitaria di 192 km. scalando la Maddalena, il Vars, l’Izoard, il Monginevro e il Sestriere!

Dopodomani sono 100 anni dalla nascita dell’Airone da Castellania, oggi ribattezzata Castellania-Coppi piccolo borgo sulle colline del tortonese in provincia di Alessandria, e il mito di Fausto Coppi sopravvive ancora e si alimenta col tempo. L’uomo, con le sue debolezze e la tragedia di una fine prematura, e l’atleta, per quanto e per come ha vinto, sono fuori dell’ordinario.

Nell’eterna diatriba fra Merckx e Coppi Jacques Goddet, storico organizzatore del Tour de France, disse:” Eddy è stato il più forte, Fausto il più grande…” e magari ha ragione se pensiamo ad un episodio del 1946 che la dice lunga sul concetto di grandezza. Coppi si presenta al via della Milano-Sanremo, all’inizio della nuova stagione, con una determinazione ed una fame incredibili, dopo i patimenti del secondo conflitto mondiale. Va in fuga dopo appena 11 km. di gara e si presenta al traguardo con un vantaggio di più di un quarto d’ora sul francese Teisseire, al termine di 296 km. di corsa e il popolare Nicolò Carosio, che commenta alla radio, disorientato dall’enorme vantaggio accumulato da Fausto dice: <<…primo Fausto Coppi. In attesa del secondo arrivato trasmettiamo musica da ballo…>>

Coppi è stato un personaggio di un’umanità profonda, un italiano che ha lasciato una traccia nella storia del ‘900 non solo come campione di ciclismo ma anche come uomo-simbolo di una nazione transitata dalle tragedie della guerra ai sogni e alle speranze della ricostruzione. Fausto è stato il primo a studiare con attenzione l’alimentazione, nell’epoca del pane e salame e delle borracce col vino dentro, a concepire la fase del riposo come una medicina, aiutato e sostenuto dal suo mentore il massaggiatore cieco Biagio Cavanna che lo scoprì da ragazzo sentendogli le cosce e i battiti del cuore. Lo stesso Cavanna disse: <<quando il ragazzo scatta è come la grandine sulla vigna>>. Coppi non era normale e lo si vedeva quando era in sella e pedalava. Un vero colpo di fulmine lo subì uno dei suoi più grandi cantori, Orio Vergani, che lo vide, a vent’anni, scalare l’Abetone nel primo vittorioso Giro del 1940: <<le mani alte e leggere sul manubrio, le gambe che mulinavano ignorando la fatica, volava sulle dure rampe del monte, fra il silenzio della folla che non sapeva chi fosse e come incitarlo>>. Alfredo Martini, ex gregario di Fausto e per tantissimi anni CT della Nazionale di ciclismo, tracciò un aspetto del carattere di Coppi: <<sembra quasi uno sconfitto, un campione oppresso dalla consapevolezza di aver umiliato, più che battuto, i suoi avversari e sembrava scusarsi per essere andato così forte>>. Gino Bartali, suo grande rivale, proprio nel Giro del 1940, che Fausto approcciò come gregario di Ginettaccio nella Legnano, lo spronò a non mollare, in un momento di crisi con la maglia rosa addosso: <<se ti ritiri sei un acquaiolo, un gregario buono solo per i rifornimenti>>.

Il suo formidabile palmares presenta innumerevoli vittorie tra cui spiccano 5 Giri, 2 Tour, 5 Lombardia, 3 Sanremo, 1 Mondiale su strada, 1 Roubaix, primo al mondo a centrare nello stesso anno l’accoppiata Giro-Tour. In tutto ciò è sempre rimasto discreto, mai insofferente, agli onori della fama. Ha ricordato più volte negli anni cinquanta, al culmine della sua fama, i suoi patimenti in un campo di prigionia inglese a Caserta e dell’incontro, ad inizio dell’anno 1945, col titolare di un affermato negozio di bici di Roma, Edmondo Nulli,  e di un suo vecchio compagno della Legnano, Pietro Chiappini, dietro la regia di un giovane giornalista che sarebbe poi diventato direttore de “La Gazzetta dello Sport”, Gino Palumbo. Nulli gli fornisce una bicicletta, Chiappini  gli procura l’affiliazione con la Lazio ciclismo con cui debutta al Motovelodromo Appio. In tutto, il sodalizio con la Lazio durò fino alla fine del 1945 per una ventina di corse poi il ritorno all’attività professionistica vera e propria con l’ingaggio presso la Bianchi come capitano.

La tragica fine che lo coglie a poco più di 40 anni d’età ( il 2 gennaio prossimo saranno 60 anni dalla scomparsa ) è sintomatica della vita vissuta da Coppi; un raggio laser, dalla povertà, ai pericoli della guerra, all’estrema agiatezza, al matrimonio fallito, all’adulterio. Troppo anche per un Grande Airone.

 

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