Racconti di sport. “Il tedesco che vola”
Storia breve di Rudi Voeller, che oggi compie 55 anni.
Roma, 13 aprile – Nato ad Hanau, in Germania, esattamente 55 anni fa (il 13 aprile 1960, auguri), fece innamorare Roma con le sue folate offensive e la caparbietà tipica dei suoi connazionali.
In giallorosso visse cinque stagioni. Malino la prima, tanto che molti si chiedevano se Viola avesse preso una bufala (dimenticando l’infortunio che ne condizionò il rendimento), benissimo le altre, nelle quali regalò alla squadra una Coppa Italia, il sogno di una Coppa Uefa svanita solo in finale contro l’Inter e tanti bei gol (45 in campionato,11 in Coppa Italia e12 in Europa, di cui 10 nella sola edizione del 1990-91).
L’unico rammarico della sua avventura romana resta quello che, se fosse arrivato poco prima nella squadra fortissima dei primi anni ’80 e non in quella altalenante di fine decennio-inizio anni ’90, sarebbe diventato un altro bomber.
E chissà che coppia avrebbe fatto con il “bomber” originale, Roberto Pruzzo.
Invece, come scritto, capitò in una Roma di transizione, che spesso Ottavio Bianchi faceva giocare col modulo “palla da Cervone a Voeller, che poi ci pensa lui”, tanto per dire quanto era forte. Anche per questo la curva Sud coniò una canzoncina, modulata su una celebre sigla televisiva di Lorella Cuccarini, che lo trasformò nel “tedesco che vola”.
E lui volava davvero con la palla al piede verso la porta avversaria e si portava dietro i difensori come mosche, tanto il pallone non glielo toglievano praticamente mai.
Con la Roma segnò un gol storico nel derby del Flaminio, ne fece altri bellissimi in Europa nell’anno in cui i giallorossi persero la Coppa Uefa con l’Inter (1991), ma soprattutto si innamorò di Roma al punto di non saperle resistere quando venne richiamato di corsa ad allenare la sua vecchia squadra nella stagione 2004-05 dopo le dimissioni di Prandelli.
Un gesto d’amore unico, poi pagato anche caro. Anche lui, come il predecessore, lasciò l’incarico per tornare a fare i dirigente in Germania.
Nonostante ciò, però, qui nessuno lo ha dimenticato e tutti i romanisti che lo hanno visto giocare, gli vogliono ancora un gran bene. Anche perché, fuori dal campo, era ed è davvero un signore.
Senza dimenticare che proprio nella nostra Capitale, in quello che allora era il “suo” Stadio Olimpico, diventò Campione del Mondo con la Germania nel 1990.