Woodcock o … Woodstock?
Ma come si chiamava in realtà l’asso del Nottingham Forest?
Roma, 26 aprile 2024 – Noi ragazzini di fine anni ’70 non avevamo la televisione che faceva vedere tutte le partite come oggi.
Per questo non conoscevamo in modo dettagliato i calciatori e vivevamo di fantasie calcistiche.
Per lo più legate alle nostre squadre del cuore o a quelle italiane, che studiavamo sugli imperdibili album della Panini. Ma in parte anche influenzate dal calcio europeo, che poi era solo quello delle coppe.
La Coppa dei Campioni riservata alle sole vincitrici dei campionati continentali; la Coppa delle Coppe per le squadre che conquistavano le coppe nazionali e la Coppa UEFA per quelle piazzate nei primi posti delle classifiche dei vari campionati.
Proprio seguendo le partite del mercoledì, l’unico giorno in cui si giocavano tutte le coppe europee, nella stagione 1978-79 ci imbattemmo in una squadra inglese che, per le sue imprese, entrò di diritto nella leggenda del calcio.
Il Nottingham Forest, la formazione che solo per il nome ci riportava alla famosa storia di Robin Hood, una di quelle con le quali eravamo cresciuti nell’età infantile che avevamo appena lasciato.
Da neopromosso nella Serie A inglese l‘aveva vinta e poi, da esordiente, aveva vinto anche la Coppa dei Campioni, battendo gli svedesi del Malmoe nella finale di Monaco di Baviera del 30 maggio 1979.
In quella partita il Nottingham scese in campo con questa formazione, rigorosamente con i numeri dall’1 all’11, come si usava a quei tempi: Shilton, Anderson, Clark, McGovern, Lloyd, Burns, Francis, Bowyer, Birtles, Woodcock, Robertson. Allenatore Bryan Clough.
La vittoria li fece diventare tutti nostri miti, ma dato che eravamo ancora ragazzini e non parlavamo l’inglese come quelli di oggi, finivamo spesso per sbagliare il cognome di uno di loro, uno dei più forti.
Tony Woodcock, che se lo vedete in una foto recente somiglia tantissimo ad Umberto Tozzi, il cantante.
Per noi, infatti, questo Woodcock diventava spesso Woodstock che, ovviamente, col calcio non c’entrava niente, visto che era il nome della località americana dove si era svolto il mitico concerto del 1969.
Quello degli hippy e del peace and love, di Jimi Hendrix e di Janis Joplin, di una generazione di ragazzi che volevano vivere in pace con tutti e in un mondo diverso da quello in cui erano cresciuti.
Fatti che risalivano esattamente a dieci anni prima a quella vittoria del Nottingham e a quel Woodcock che era il suo campione.
Anche se per noi che non parlavamo l’inglese e che poco conoscevamo del concerto del ’69, era spesso Woodstock.
Come lo chiamavamo quando sognavamo di essere lui mentre facevamo le radiocronache delle nostre infinite partitelle per strada o nei cortili dei palazzi.
Incuranti del caldo, della pioggia, del freddo e degli accidenti che ci tiravano quelli ai quali disturbavamo il riposino post pranzo con le nostre pallonate.