Racconti di sport. Nel segno di Zeman

Roma, 11 maggio – I settant’anni che Zdeneck Zeman compie domani, meritano di essere celebrati, perché in pochi hanno lasciato il segno nel nostro calcio come lui.
Non guardatelo oggi, alla guida di un Pescara mal ridotto che ha ripreso in mano dopo i fasti della promozione in A di qualche stagione fa.
Ripensate al suo Foggia, alla sua Lazio, alla sua Roma degli anni ’90, quelli nei quali il suo 4-3-3 imperava nel nostro campionato a suon di gol e spettacolo. Un movimento di pensiero, più che uno schema. Un modo di essere, più che una tattica. Sempre all’attacco, niente compromessi, gioia di vincere e vivere, segnare e divertirsi, anziché stare in difesa, tutti coperti e contropiede, sperando di fare quella rete sulla quale poi speculare per portare a casa il risultato. Rambaudi-Baiano-Signori a Foggia; Rambaudi-Casiraghi-Signori nella Lazio; Paulo Sergio-Balbo-Gautieri e poi Gautieri-Delvecchio-Paulo Sergio nella Roma, fermata solo da troppe decisioni arbitrali controverse nel campionato che seguì la sua polemica estiva contro il doping, le farmacie e le finanziarie che dovevano uscire dal calcio e che lo portò ad essere considerato il nemico numero uno della Juve e l’idolo di tutti gli anti-juventini d’Italia. Romanisti in primis, ovviamente, per i quali è ancora oggi un mito, anche se in campo poco ha portato alla loro squadra.
Grandi goleade e rovesci impensabili, la sigaretta sempre in bocca (quando si poteva fumare) e quel ghigno sarcastico di chi ha visto tanta vita e tanto mondo per potersi ancora stupire di qualcosa. Lavoro, lavoro e lavoro. Esercizi e gradoni, dieta e disciplina. Così allena i suoi giocatori e ancora dobbiamo conoscerne uno che non gli è stato grato di quanto fatto insieme. Su tutti Totti, che lo considera il miglior allenatore che ha avuto insieme a Mazzone, per lui un secondo padre.

Auguri mister, leggenda del nostro calcio.

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