Allegri , Ranieri, Fiorentina, stadio della Roma, 4 brutte storie non a lieto fine
Roma, 24 febbraio 2017 – Quattro vicende di strettissima attualità ci ripropongo in modo eclatante quella che è la vera dimensione in cui è immerso il calcio dei nostri tempi: un grandissimo business che non ha nulla a che vedere con lo sport.
È proprio inutile scandalizzarsi.
L’unica cosa che si può fare è prendere atto di questa cruda realtà è dirsi: mi interessa ancora; non mi interessa; ed a parlarne al bar con gli amici non ci vado più!
I casi in questione: Lite Allegri-Bonucci (Juventus), Licenziamento Ranieri (Leicester); Sconfitta europea (Fiorentina) ; Stadio della Roma.
Tutti sono al corrente dei dettagli di queste vicende meno del fatto che interessano 4 club tutti di proprietà di grossi gruppi con interessi multinazionali. E che il calcio italiano è stato preso d’assalto da investitori stranieri, cominciando dalle squadre e delle città più importanti. Se lo statunitense Pallotta è il proprietario della Roma, se i cinesi si sono impossessati di Inter e Milan (storia ancora in fieri), se il Bologna è in mano ad una cordata di imprenditori americani (Usa e Canada), non è certo per beneficenza. Mentre , invece, Juventus e Fiorentina sono portacolori italiani di marchi di colossi imprenditoriali internazionali quali Fiat- Usa e Tod’s (Calzature ed accessori di lusso.
Il mecenatismo, la passione sportiva, dunque, non c’entrano. Si tratta solo e soltanto di business e di soldi da realizzare direttamente od indirettamente.
Direttamente attraverso il mercato dei giocatori, incassi, sponsorizzazioni, merchandising , diritti televisivi e di immagine, premi di partecipazione e vittorie in manifestazioni internazionali come le Coppe.
Indirettamente come indotto dalla costruzione e gestioni di stadi di proprietà e aree relative (case, negozi, locali per il tempo libero, impianti sportivi, cinema, teatri e quant’altro possa attirare frequentatori-tifosi consumatori). Un altro piccolo business su cui contano molto i nuovi imprenditori americani interessati al calcio, è la preparazione di giovani calciatori (a pagamento).
Le quattro brutte storie di cui sopra, riguardano altrettante squadre che hanno come denominatore comune il perseguimento (diretto od indiretto) di importanti business.
Tre italiane (Juventus, Roma e Fiorentina) ed una inglese , il Leicester (di proprietà tailandese, il King Power Group) che ci interessa perché riguarda un caro allenatore italiano quel Claudio Ranieri, premiato quest’anno come il Migliore Allenatore dell’Anno.
Iniziamo a trattare le vicende di Juventus, Leicester e Fiorentina perché sullo sfondo in comune hanno il destino di loro rispettivi allenatori in contrasto conlospogliatoio o con il tifo. E della cinica logica che regola tali rapporti.
Claudio Ranieri, The Thinker (Il Pensatore) – così soprannominato dalla stampa inglese dopo che ha portato il Liecester da ultimo a primo della classe nella Premiership – è stato licenziato accompagnato da un lungo comunicato del Vice Presidente Esecutivo Aiywatta Srivaddhanaprabha che fa quasi tenerezza:”….. Il suo calore, il suo fascino e il suo carisma hanno contribuito a trasformare la percezione del club a sviluppare la sua immagine sulla scala ormai globale… ma adesso ci troviamo nel pieno della lotta per raggiungere questo obiettivo e abbiamo pensato che un cambiamento fosse necessario per massimizzare l’opportunità presentata dalle prossime ultime 13 partite di Premier….”
Cosa è che ha smesso di funzionare nel miracolo Leicester di Claudio Ranieri? È andata esattamente come in precedenza nella sua carriera andò con grandi squadre, Napoli, Fiorentina, Valencia, Chelsea, Parma, Juventus, Roma, Inter, Monaco. Solo nel quadriennio iniziale a Cagliari non ci sono stati scossoni in un crescendo sempre positivo.
È accaduto che i modi gentili ma fermi, virtuosi, dell’allenatore romano, dopo immediati successi, prima o dopo abbiano finito per scontrarsi con i grandi interessi pecuniari che girano attorno al calcio. La sua gestione (senza compromessi) dei giocatori ha provocato contraccolpi presso gli entourage influenti che regolano il proficuo mercato dei giocatori, specie i cosiddetti “senatori”.
Quando le cose smettono di funzionare bene negli spogliatoi i danni sono irreparabili. A pagarne le conseguenze è sempre l’allenatore che è l’anello meno importante e debole per ragioni di business. Un calciatore di rango ha un rilevanza economica a sei-sette zeri in Euro, contro i cinque (raramente e qualcosa) di un allenatore, pur bravo. A Leicester è successo proprio così. Anche se stiamo in Inghilterra, oppure a ragion maggiore…
Il calcio è un ambiente duro, spietato. Ci vuole un pelo molto lungo per resistere alle pressioni che arrivano da tutte le parti, cominciando da quelle del procuratore che fomenta il giocatore a chiedere di più ed a ricattare la società se il loro assistito non gioca, e, quindi, non vede accrescere il suo valore economico e contrattuale.
Perché non è successa la stessa cosa attorno al caso Allegri-Bonucci? Ai tempi della Juve anche Ranieri non resistette a lungo!
Intanto, diciamo pure: che Torino non sta in Tailandia; che esiste uno stile Juve mirante ad un valore di immagine assai elevato; che il “core business” della Juventus/Fiat è la Promozione di un marchio non un merchandising diretto. Non puoi cadere nell’impopolarità se vuoi vendere autovetture. Il calcio è un prodotto a largo respiro, di lenta penetrazione.
Dunque, Allegri batte Bonucci (e spogliatoio) 4-0. Vince, insomma, il principiol’allenatore è sacro e va rispettato ,accolto da tutti con condivisione. Vince, oggi, ovvero ieri. Forse vincerà per tutto il prosieguo della stagione. La società ha mostrato polso fermo, l’entourage ostile deve cedere il passo.
Ma – e qui si può scommettere – a fine stagione Allegri dovrà fare le valigie in pieno “stile Juve”.
E ora arriviamo a Firenze. All’allenatore viola Paulo Sousa che fu già Juventus da giocatore ed anche il primo allenatore della gestione tailandese a Leicester. Il suo stile è lo stesso di Ranieri – signorile, gentile, fermo – destinato a scontrasi con l’ambiente a Firenze esigente come pochi. Convinto che la Fiorentina se non vince lo scudetto ha molto da rimproverarsi. Un allenatore, pur bravo che sia, è sempre al centro della contestazione, se non vince tutte le partite.
Nel club di oggi non ci sono superstar, ma giocatori normali da cui Souza riesce a trarre il meglio di sé; neanche l’ombra di malumori negli spogliatoi. Eppure anche Paulo Sousa, come Raineri ai suoi tempi, dovrà lasciare Firenze.
È la malasorte ad accelerare la fuoriuscita di Sousa. Una malasorte, ironia del caso che parla la sua stessa lingua, il portoghese. Lusitano, infatti, Il trio arbitrale , capeggiato da signor Dias, prescelto colpevolmente per la gara di ritorno con il Borussia M. in Europa League.Malasorte, ma anche rara ingiustizia. Inventato, infatti, di sana pianta il rigore concesso da Dias al Borussia (su segnalazione del giudice di porta ) a 2 minuti dal termine del primo tempo, quando la Fiorentina con una vittoria – con nel cassetto già l’ 1-0 in Germania ed un parziale di 2-0 in proprio favore in casa, era ormai qualificata.
Ma si sa come a volte vanno le cose nel calcio. I tedeschi hanno finito per vincere rocambolescamente per 4-2 e superare il turno lasciando a piedi i viola..
Ora la sorte di Sousa è segnata. Qui non c’è più questione di bussiness, ma distile Firenze di rigetto: il portoghese se ne deve andare! È solo questione di quando.
E la Roma? Cosa centra con gli allenatori? Non centra più perché pare che la questione Totti è stata sistemata e perchè contro il Villareal, Spalletti ha vinto pur schierando una squadra decisamente sgangherata, senza rischiare più di tanto e facendo divertire i tifosi con l’inserimento delle riserve e di Totti dal primo all’ultimo minuto..
Spalletti si sta rivelando un grande navigatore del calcio. Nulla a che vedere con Ranieri e Sousa.
Il tecnico toscano si è pienamente calato nella logica business americana ed suoi piani ne tengono pienamente conto. Comunque la squadra ha anche raggiunto una sua fisionomia tecnica di alto spessore ed altamente competitiva. Se la Juve dovesse compiere qualche passo falso, causa lo spogliatoio, la Roma è pronta lì!
Purtroppo Spalletti niente può fare per sostenere il business primario per cui Pallotta e soci sono piombati dagli Usa sulla Roma: il business Stadium. Un modello già felicemente sperimentato negli States: la realizzazione attorno allo Stadio Nuovo di un progetto commerciale immobiliare, una vera e propriaRoma 2.
La faccenda è tutta in mano, invece, al nuovo sindaco di Roma, Beppe Grillo che ha ormai di fatto esautorato Virginia Raggi. Come maestro inimitabile dell’arte della comunicazione di massa (Cinque Stelle da zero a primo partito italiano e sindaci a Roma e Torino), Grillo non sconfessa platealmente la sindaca , per motivi elettoralistici, ma cerca di limitarne i danni intervenendo personalmente.
Lo stadio è unapatata bollente che se non troverà soluzione, per gli americani verrà a cadere la motivazione principale del loro investimento.Ed allora? Venderanno (con tutto Spalletti) la Roma al miglior offerente…. cinese.Lo Stadio Nuovo? Svanita Tor di Valle. Una nuova area, Quale? Dove? Per trovare Tor di Valle e progettare ci sono voluti anni ed anni e milioni di Euro. Ricominciare tutto da capo, una utopia elettorale.
Chi se la ride sotto i baffi (autentici) è l’ex assessore all’urbanistica Paolo Berdini (dimissionato con riserva): ve l’avevo detto io!
Quattro storie di calcio. Nessun lieto fine.