Roma, 10 novembre 2022 – Proviamo una sincera simpatia per Massimiliano Alvini perché è uno vero e umile.
Basti ricordare le sue dichiarazioni dopo Cremonese-Milan 0-0 sul suo incontro con una leggenda come Paolo Maldini per capirlo: “Vedo Paolo Maldini e gli do la mano, era la prima volta che lo vedevo da vicino. È un grande campione, ha scritto la storia del calcio di quando io ero giovane e vedevo le partite. È il minimo che posso fare e così sarà su molti campi”.
Alvini si sente come ci sentiremmo noi al suo posto. Alvini è uno di noi che ce l’ha fatta. E come faremmo noi si meraviglia e si gode ogni momento al massimo.
Così è stato con Maldini. Così è stato di fronte alla maestosità dell’Olimpico di Roma, quando è tornato sul campo per ammirarlo ormai vuoto dopo Roma-Cremonese.
E, proprio come faremmo noi, si meraviglia ogni volta che conduce la sua Cremonese in una delle partite del nostro massimo campionato.
Perché lui, per arrivarci, ha lottato davvero. Ha fatto la gavetta. È salito piano piano dalle categorie inferiori senza saltare neanche un gradino della scala per la gloria.
Partendo dalla sua Fucecchio, il comune della città metropolitana di Firenze dove è nato il 20 aprile del 1970, ha fatto tutto il cursus honorum degli allenatori.
Il Signa e il Quarrata tra Eccellenza e Promozione. Il Tuttocuoio di San Miniato (provincia di Pisa) fino alla Lega Pro e la Pistoiese sempre in Lega Pro.
Poi il distacco dalla natia Toscana per andare ad allenare l’AlbinoLeffe, in provincia di Bergamo, portata dalla Lega Pro alla C.
Quindi la Reggiana negli anni del Covid: in C nel 2019-20 con promozione e conseguente campionato di B 2020-21.
E poi il Perugia nel 2021-22, in B. Anzi: portato a sorpresa a giocarsi i playoff promozione.
Perché nessuno, ma proprio nessuno, pensava che ce lo avrebbe portato, fino a quel punto.
Il bel campionato cadetto con gli umbri gli è valso il premio della Serie A, alla quale è arrivato su chiamata della neo promossa Cremonese.
E qui ha cominciato a rimettere in pratica i suoi schemi tattici e i riti scaramantici.
I vestiti sempre neri o blu, i pantaloni a sigaretta, stretti stretti e, a volte, le scarpe lucide, anche sul prato verde.
I baci al pallone quando esce vicino alla sua panchina e prima di ridarlo ad un suo giocatore per una rimessa laterale.
E quel movimento incessantemente, continuo: avanti e indietro, indietro e avanti.
Perché Alvini fermo non ci sa proprio stare.
Lui è un allenatore di partecipazione, non di contemplazione. È uno di quelli che vive la partita in pieno, non a metà. E lo fa vedere.
Per noi, che lo abbiamo sempre seguito, è un bravo allenatore. Che si sta facendo e può migliorare, certo, ma che per quello che ha fatto merita di stare dove sta.
Lui è il nostro Alvini superstar.