Arbitri, basta isterie – Si impari dal Rugby
Roma, 8 febbraio 2017 – Questa domenica arbitri al centro dell’attenzione sia nel calcio che nel rugby.
Nel pomeriggio all’Olimpico di Roma l’arbitro inglese John Paul Doyle , ha subissato gli azzurri del rugby con 16 penalità contro le 5 a sfavore del Galles . Un rapporto assolutamente anomalo che ha fatto abortire il match. Soprattutto ha impedito alle due squadre di esprimere le proprie potenzialità ed al pubblico di appassionarsi. A pagarne le conseguenze soprattutto l’Italia che non ha potuto difendere il proprio vantaggio di 7-0 ed ha finito per perdere 7-33.
Sempre domenica, in serata , allo Juventus Stadium di Torino, in conclusione di partita, i giocatori interisti, sconfitti per 1-0, sono stati autori di veementi e plateali proteste nei confronti dell’arbitro “mundial” Nicola Rizzoli accusato di non aver concesso un paio di rigori e di aver espulso Ivan Perisic allo scadere del secondo tempo..
A Roma il Capitano della Nazionale di rugby Sergio Parisse (unico titolato a dialogare con l’arbitro) ha gestito la situazione in maniera urbana, ma ferma, tesa a richiamare l’attenzione di Doyle sui fatti nella speranza di arrivare ad un arbitraggio più equilibrato e meno da maestrino.
A Torino in molti hanno perso la testa a cominciare dal Croato Perisic. Tutto nasce dall’abitudine (tollerata) di assaltare l’arbitro in gruppo ogni volta accada qualcosa di controverso. Tutti si sentono di dire la propria. Non succede in nessuna parte del mondo. Eppure, nel calcio, come nel rugby, solo il Capitano può conferire con l’arbitro. Ma gli animi sono più accesi ed è facile degenerare in proteste più o meno violente.
Questo tipo di sceneggiata avviene, si è detto, da recitare ad ogni circostanza – rigore, fuori gioco, persino l’uscita dalla palla fuori la linea laterale. Un rito nella speranza che l’arbitro riveda una propria decisione utile al divenire delle cose. Un’evenienza che non si verifica quasi mai, ovvero – solo da quando sono stati introdotti i giudici di porta. A Torino il rituale capannello di proteste si è tenuto a bocce ormai ferme senza nessuna situazione più da modificare.
Quanto al coinvolgimento di Icardi, questo matura nel quadro di una discussione generale a fine partita che segue l’espulsione di Perisic per proteste.
Una grossa responsabilità sulla vicenda, comunque, ce l’ha Rizzoli che ha il vezzo di mostrarsi , simpatico, affabile, aperto al dialogo con i giocatori. Capace di tenere sotto controllo partita e giocatori usando il guanto di velluto anziché il bastone. Pronto ad intessere con questi personaggi (famosi ed incontrati in tante occasioni) rapporti amichevoli e di cordialità. In sintesi: sul campo dobbiamo darci del lei; a bocce ferme diamoci pure del tu!
Che ingenuità non tenere conto che al termine di in Derby d’Italia, perso in virtù di una prodezza di Quadrado, un calciatore dell’Inter si trova al limite dell’isteria e non in grado di discutere con serenità.
Dunque nella frittata finale allo Juve Stadium c’è anche lo zampino dell’arbitro. Non piace nemmeno che l’arbitro emiliano sia rientrato verso gli spogliatoi dell’Olimpico “democraticamente” discutendo con Icardi per poi colpirlo a freddo compilando un referto che accusa il Capitano dell’Inter ( su delazione di un suo collaboratore) di avergli tirato una pallonata ( senza colpirlo) e di avere indirizzato ad un secondo arbitro una ”espressione ingiuriosa accompagnata da gesti”.
Morale della favola, la squalifica di due turni per Icardi e Perisic per cui l’Inter dovrà fare a meno delle sue superstar sia contro Empoli che il Bologna. Il che potrebbe avere conseguenze non trascurabili per le ambizioni da Champions dei nerazzurri. E considerevoli danni economici per la Società
Siamo alle solite. I giocatori continuano a fare sceneggiate, capannelli, proteste su tutti i campi italici, dando vita a spettacoli davvero indecorosi, espulsioni e squalifiche. Mentre chi potrebbe mettere a freno questo andazzo, non fa niente.
Proteste, dunque, come elemento costitutivo dello show calcistico assieme al giro della curva senza maglia ogni volta che si segna una rete.
Se non si fa nulla per fermare questa andazzo il calcio italiano continuerà a soffrire.
Non è sufficiente studiare ed applicare sanzioni più severe. Occorre che le tre componenti di cui sopra invertano la rotta . Le società multando, i tifosi pretendendo che i giocatori siano sempre a disposizioni senza incorrere in squalifiche evitabili, ed i media denunciando i rei anzichè elevarli a modellI di comportamento per le giovani generazioni.
Ciò che si vede allo Juventus Stadium lo ritroviamo riprodotto negli stessi atteggiamenti anche nei campetti giovanili e parimenti tollerato.
Insomma se non si vuole assistere a spettacoli come quelli di Torino ( e le conseguenze) occorre educare e riformare partendo dall’alto, dai modelli di comportamento
Nel rugby è ormai insito che l’arbitro non si contesta. Anche perché se sbaglia troppo paga. L’arbitraggio di Doyle non è passato inosservat o. Non è stato protestato sul campo , ma è stato osservato, criticato e valutato da più parti, perfino sulla stampa inglese. Ed anche contestato successivamente da un tecnico come il coach azzurro Conor O’Shea che per 35 volte ha vestito la maglia della Nazionale d’ Irlanda ed è uomo di valore ed onore. Doyle non la passerà liscia. Ha sbagliato troppo affossando una partita teletrasmessa in tutto il mondo. Verrà escluso dal Panel della IRB e ci rimetterà un bel po’ di quattrini perché è arbitro professionista.
Lo stesso non accade purtroppo agli arbitri di calcio italiani che possono sbagliare ma non subiscono conseguenze. Fanno parte di un congegno burocratico tipo ministeriale dove si fa carriera . Quando raggiungi un certo livello nessuno ti può toccare. Il Palazzo anzi ti difende per difendere sé stesso. Inoltre formalmente non sei un professionista anche se poi arrivi ad accumulare compensi annui a cinque zeri.
Quanto a Nicola Rizzoli, apprezzabile e di alto spessore la sua inclinazione al dialogo con i giocatori, ma forse dovrebbe tenere più presente quanto elevato sia il livello di tensione nervosa che può raggiungere un calciatore, qualsiasi calciatore..
Il calcio per sua propria natura è sport che induce alla drammatizzazione. Non sempre, infatti,vince il migliore, quello che gioca meglio. Ci sono partite in cui capita che si impone chi effettua un solo tiro in porta mentre l’avversario prende cinque pali e fallisce due rigori. Una bella ingiustizia che cozza con con il principio morale che il successo deve premiare chi se lo merita di più . Spesso il calcio diventa immorale provocando un senso di ingiustizia che vuole trovare sfogo. Di qui il ricorso perfino alla violenza insita in una invasione campo nel caso dei tifosi; in un capannello di proteste attorno all’arbitro nel caso dei calciatori.
In altri sport, quali il rugby, tranne in situazioni di netto equlibrio vince sempre il migliore. Rugbysti e pubblico sono perciò sereni e disposti ad accettare il responso del campo ed anche dell’arbitro che più di tanto non può influire. Inoltre il giocatore di rugby ha modo di sfogare tutte le proprie tensioni nell’ambito dello scontro fisico con l’avversario. Una opportunità che il calciatore non ha. Quindi che accadano certe cose nel calcio che non avvengono nel rugby non è tanto una questione di superiorità etica e sportiva o umana di una disciplina sull’altra, quanto per le essenze diverse dei due sport.
Succede, così, che nel rugby si sia disposti ad accettare qualsiasi risultato, anche quello episodicamente provocato da un arbitro approssimativo.
Al contrario nel calcio la colpa , se uno perde, è (sentitamente) sempre dell’arbitro. Una ingiustizia che può suscitare violenza.