C’era una volta il derby. La bufala straniera e il Milan
Roma, 2 dicembre 2016 – È il Derby meno Derby della storia delle stracittadine della Capitale: niente atmosfera – scommesse, sfottò, prese in giro – ma soprattutto senza pubblico. Stamane, alla vigilia, risultavano presenti all’Olimpico, soltanto in Curva Nord, i tifosi laziali recuperati grazie alle recenti imprese di Simone Inzaghi. Nonostante la mobilitazione personale e diretta che la Roma ha chiesto a Totti, De Rossi e Florenzi alla vigilia, la vendita stamani si era attestata sui 6.300 biglietti. Compresa la tifoseria laziale in Curva Nord, al derby non si raggiungeranno le 20 mila unità. Un vero disastro storico, nonostante la Roma sia seconda con il Milan e la Lazio un punto più dietro. Un derby pieno di significati importanti, dunque.
La tifoseria giallorossa chiarisce che il perdurare dello sciopero bianco della Curva Sud contro le barriere di contenimento è in realtà diretto contro le scelte societarie. In particolare l’ostracismo ai giocatori italiani e romani.
Le dimissioni forzate del Direttore Sportivo Walter Sabatini, reo per il Presidente americano Pallota di “fumare troppo” sono il risultato delle divergenze in chiave programmatica e gestionale fra la dirigenza Usa e quella del Direttore Sportivo responsabile del mercato.
Sullo sfondo, però, sempre il business,
Per Sabatini i soldi si fanno nella compravendita oculata ed esperta dei giocatori. Per gli americani il business è la creazione attorno al protagonista sportivo di uno sport di massa – vuoi il Football, vuoi, il Baseball, l’Hockey su Ghiaccio, il Basket ed, ora, anche il grande calcio – di un forte indotto commerciale e di marketing attorno allo Stadio di proprietà: eventi sportivi, abbigliamento, negozi, centri commerciali , parchi-giochi, iniziative immobiliari e quanto altro sotto il marchio giallorosso. Un grande teatro che garantisca consumi non solo qualche domenica l’anno ma tutti i giorni della settimana e dell’anno. La casa dei giallorossi dove, in ogni momento, si respiri aria di casa.
Lo Stadio ed indotti di proprietà – inteso come luogo di coinvolgimento di un cosmo legato da specifici interessi sportivi – è ormai realtà supercollaudata, un business sicuro negli States (e non solo).
Alla base, però, ci deve essere un altissimo livello di identificazione fra la gente e la squadra. Il tifoso deve avvertire che la squadra in qualche maniera gli appartiene, almeno simbolicamente. Percepire che ha cose in comune affettivamente.
A lui importa relativamente il livello tecnico teorico della formazione realizzata sul mercato quanto che – se incontri un giocatore nelle vicinanze dello stadio od in un negozio – possa riconoscerlo e magari parlargli. A questi non interessa un rapporto totalmente anonimo.
La Roma costruita oculatamente sul mercato da Spalletti e Sabatini, risulta un coacervo estraneo che muta il proprio aspetto in ogni momento. Un giocatore c’è oggi e domani non c’è più. Si è appena finito di metabolizzare che è già stato cambiato.
Così si sono realizzate quelle consistenti “plusvalenze” che hanno apportato benefici cospicui al capitale (giocatori!?) della Roma, ma che hanno finito per disamorare la tifoseria.
Un tragitto totalmente diverso da quello progettato da Pallotta per la Roma.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso non è stata tanto il colpevole ostracismo di Spalletti a Totti (un patrimonio per gli USA !), quanto, appunto, il pretestuoso sciopero bianco della Curva Sud per una faccenda del tutto marginale come le barriere di cemento anti disordini.
Il campanello d’allarme ha indotto il Presidente a consultarsi sull’argomento con il consulente speciale Franco Baldini. Il risultato? Il breve comunicato sulle dimissioni del Direttore Sportivo.
Ma ormai il toro aveva lasciato la stalla. Depauperata da ogni vestigia italiana, la rosa della squadra, priva per infortuni e squalifiche dei suoi romanisti e romani, ha disputato tutte le ultime partite con 19 stranieri su 20 giocatori. Anche i vantaggi tecnici dell’abile mercato si sono rivelati del tutto relativi tanto che, se perde il derby, la Roma viene scavalcata dalla Lazio. Per la stracittadina è stato riconvocato Totti.
Venendo, infine, agli aspetti devastanti della invasione di giocatori stranieri in Italia c’è da sottolineare un aspetto importante che non viene sempre considerato.
Sia chiaro non siamo fra i contrari per principio all’innesto di giocatori stranieri. Questi da tempo immemorabile hanno rappresentato una risorsa importante per il calcio anche italiano. Non si è per l’autarchia, e nemmeno per leggi limitative. Quello che è importante è l’uso intelligente e non speculativo di questa risorsa che deve arricchire e non impoverire. La storia del Calcio italiano mostra un elenco ricchissimo di giocatori stranieri amati e riveriti dalle varie tifoserie. Un elenco di grandissime glorie che hanno fatto la felicità e gloria di quei club che potevano investire di più. Tanto per ricordare: dalla Juventus di Charles e Sivori e tanti altri campioni al Milan di Josè Altafini e del trio svedese Gre-No-Li (Gunnar Gren, Gunnar Nordahl e Nils Liedholm). Dall’Inter di Suarez alla Fiorentina di Hamrim, alla Roma di Manfredini e Batistuta, alla Lazio di Selmosson, al Napoli d Jepsson, Vinicio e Maradona e via dicendo.
Sulla spinta della globalizzazione, della crisi economica e della comunicazione Internet, il quadro ora si è radicalmente capovolto. I campioni veri stranieri arrivano con il contagocce o, come Higuain, sono di seconda mano. Folla delle mezze figure invade tutte le piazze sulla spinta di procuratori e talent scout societari sempre più agguerriti ed organizzati.
Oggi anche un paese del terzo mondo ha in piedi una fiorente industria calcistica con tanto di agenti Fifa preparati e diplomati, disposti a presentare i propri assistiti con tanto di filmati illustrativi da inviare via Internet. Semi talenti, giocatori in grado di fare il professionista al livello di tanti italiani, ma che costano molto di meno come cartellino, ingaggi e stipendi. In Tunisia, per esempio, ci sono almeno tre Accademie in cui tutto l’anno e per tre anni, i più giovani talenti vivono e crescono calcisticamente fino a diventare discreti professionisti pronti ad essere immessi sul mercato accompagnati da filmati ben eseguiti ed esplicativi. C’è solo da invitarli per un provino e pagare la mediazione all’agente.
Dunque l’Italia non è invasa da campioni stranieri ma da pinco pallini mediocri che arrivano anche da Timbuctu. I giocatori italiani di pari livello e superiore, finiscono nelle serie inferiori od al massimo in qualche squadra provinciale di serie A.
Benefici di questo trend? Pochi, pochissimi. Dal punto di vista tecnico perché, a parità di valore, l’italiano ha una spinta in più. Dal punto di vista economico poco o niente perché ciò che risparmi sui giocatori lo perdi nell’affezione del pubblico, sempre più scarso, e sugli introiti TV sempre più critici.
C’è poi un impoverimento generalizzato dell’immagine promozionale calcio, conseguenza delle difficoltà della Squadra Nazionale a reperire giocatori di esperienza internazionale.
Dunque, la furbizia non paga. Se ne stanno accorgendo, anche sul piano dei risultati, certe squadre tutte straniere come Roma, Inter,perfino il Napoli. La Juventus ha trovato un buon compromesso fra stranieri campioni ed italiani di qualità. Torino, Atalanta e Sassuolo si muovono in maniera oculata. Chi, invece, appare abbia capito tutto è il Milan di Montella che, attraverso una vera politica di italiani e giovani riesce a realizzare ottimi risultati e, soprattutto, a riconquistare quegli entusiasmi che la Roma ha perso e che per riacquisire dovrà lavorare sodo ed a lungo partendo dal mercato e da un nuovo tecnico e magari da qualche nuova magia di Totti nel Derby.