Roma, 14 novembre 2017 – Ora la colpa è tutta dei giocatori: “Andate a lavorare!” Uno sproposito che la dice lunga sull’incompetenza e la malafede di chi non sa come arrampicarsi sui vetri di una scomoda corresponsabilità!
Tutto si può dire infatti, degli azzurri scesi in campo ieri, come da qualche anno a questa parte, piuttosto che non si siano impegnati al massimo delle proprie possibilità tecniche ed agonistiche. Purtroppo carenti ed insufficienti ad affrontare l’alto livello internazionale.
Loro non si sono autoconvocati ai raduni di Coverciano. Non hanno imposto il loro nome nelle formazioni annunciate. Sono stati, invece, scelti e prescelti da altri a difendere il loro Paese nello sport nazionale per definizione.
A considerare con onestà intellettuale l’accaduto, i giocatori azzurri sono gli ultimi ad essere inglobati nella catena delle responsabilità.
Essi rappresentano esattamente il prodotto di una disciplina sportiva che per interessi personale ha svenduto il calcio italiano all’estero.
Uomini d’affari cinesi ed americani, non hanno acquistato i più grandi sodalizi di un Paese 4 volte campione del mondo per beneficenza o curiosità culturale o per una improvvisa passione calcistica, ma per fare affari, business..
È bastato loro sventolare qualche mazzetta di dollari e tutti si sono messi al loro servizio nella filiera calcistica formata per lo più da incompetenti maneggioni.
Il risultato? La squadra azzurra senza capo ne coda messa in campo negli spareggi contro la Svezia.
I fatti sono arcinoti. Abbiamo affrontato la Svezia con una difesa dall’età media di 34 anni. Quella della Nazionale dei migliori fasti e della Juventus multi sculettata. Il quartetto BBBC (Buffon, Barzagli, Bonucci,Chiellini) ormai al tramonto tecnico-tattico, per giunta smantellata dalla Juventus impegnata nel processo di allineamento ai tempi. Il gioco italiano con la palla, consisteva in una serie monotona e prevedibili di passaggi orizzontali fra i BBBC terreno, che si concludevano o con lanci lunghi per le punte o i laterali, oppure innescando l’azione individuale sulle fasce di Dermina o Candreva che concludevano con cross facilmente preda dei più alti e prestanti vichinghi.
Questo calcio azzurro è ben lontano dal calcio moderno. Troppo poco dopo un anno di lavoro. Ventura avrebbe potuto fare di più, anche se il tempo a disposizione per riformare il calcio della Nazionale è stato assai poco e se i talenti migliori a disposizione avessero avuto vizi tattico-tecnico ormai troppo connaturati.
Ma Ventura non ci è arrivato sa solo alla Nazionale. A sua volta ce lo hanno chiamato. Chi? il Presidente della FIGC, Tavecchio che non ha saputo o voluto innovare, preferendo accontentarsi del veterano di occasione. Le sue responsabilità di “manico” sono dunque più gravi.
Ma anche Tavecchio alla Presidenza della FIGC non ci è arrivato come erede. L’hanno votato. Chi? L’assemblea generale delle società di calcio influenzate ampiamente dal potere dei grandi club che vogliono assolutamente mantenere lo status quo per garantirsi la gestione del pallone italiano secondo i propri interessi.
Quali? Cessione delle squadre ai mercati d’oltre oceano. Nessun limite all’ingaggio di giocatori stranieri. Ci sono squadre di Serie A importanti che in qualche circostanza ai sono schierate in campo con 11 giocatori stranieri su 11. Parliamo di Inter, Roma ed anche il Napoli, con l’eccezione di Insigne. Ma anche club piccoli come l’Udinese riescono a barcamenarsi attingendo bene sul mercato straniero.
All’estero si spende meno e si possono ingaggiare validi giocatori. E gli italiani? Ed i potenziali talenti come hanno modo di farsi le ossa?
Finiscono in qualche club di seconda fascia prima di venire chiamati da club inglesi, francesi, o spagnoli come è il caso di Verratti, Zaza, Pelle, Gabbiadini Dermian, Zappacosta.
La Nazionale di calcio deve essere l’espressione del miglior calcio praticato in un determinato paese. Ma se i club guida e più ricchi non si adeguano ai tempi rivolgendosi ad allenatori più adeguati e non legati mani e piedi al passato ancorchè glorioso, la prima a soffrirne le conseguenze è proprio la Nazionale. In Italia ci sono ora solo due squadre e due allenatori che si sono aggiornati e fanno, infatti, faville. Sono il Napoli di Sarri e la Lazio di Simone Inzaghi. Ma dal Vesuvio si possono chiamare solo l’italo brasiliano Giorginho e Lorenzo Insigne, della Lazio soltanto Parolo ed Immobile. Anche Di Francesco nella Roma sta cercando di aggiustare in corso d’opera i difetti di impostazione tecnico-tattica ereditati da Spalletti. La prova di Florenzi, migliore degli azzurri ne è la palese conferma. Così come quella di El Sharawi.
Accanto alla filiera delle responsabilità indicate c’è da sottolineare come il disastro nazionale del fallimento calcistico si sia potuto verificare grazie alla colpevole complicità dei media, tutti i media (scritti, parlati o audiovisivi) con qualche rara eccezione come è il caso di attualita.it.
Compito dei Media è informare, raccontare le vicende, criticare, commentare o denunciare. Sono una sorta di vigilante garanzia ad operare per il meglio. Nel caso delle “Avventure sventura” di Tavecchio e del calcio italiano, invece, il silenzio complice è stato assordante. Eppure la realtà di ciò che stava e sta accadendo, era ed è sotto l’occhio di tutti.
Due solo possono essere le ragioni di questo silenzio protrattosi nel tempo: incompetenza o malafede per tornaconto; oppure tutte e due.
In questo Festival di brutture, tuttavia, si è avuto anche l’occasione per godersi una vera perla. L’intervista a Gigi Buffon al termine della partita ai microfoni esclusivi della RAI orfani di Ventura che, giustamente, ha ritenuto che non era il caso.
Lo sfogo autentico del Numero Uno azzurro; le sue lacrime senza vergogna, la sua spontaneità, la sua sensibilità, brillante intelligenza e sincerità, la sua autentica sportività, la competenza, ha fatto venire in mente che l’Italia del calcio non è quella emersa con la pagina più nera dello sport nostrano. E che esistono tantissime risorse umane e professionali come quella di Buffon.
Ed allora , se c’è qualcuno che conta e che davvero nutre un interesse spassionato per il calcio italiano, perché non si rivolge al Numero Uno nazionale (che ieri ha dato l’addio ufficiale alla maglia azzurra) di sovraintendere lui alle sorti azzurre?
Non sarebbe sicuramente un azzardo od un salto nel buio. Nessuno conosce meglio il calcio del portiere che lo vede da dietro. Per chi non lo avesse a mente, Dino Zoff è stato per diversi anni l’allenatore di successo della Nazionale. Perché allora non affidare questa responsabilità anche a Buffon?