Roma, 13 febbraio 2020 – Rino Gattuso non è un autodidatta sbarcato sulla panchina di allenatore in virtù dei suoi notevoli meriti calcistici da giocatore o perché capace di trasmettere ai giocatori da lui gestiti quella grinta con cui sul campo ha costruito i propri successi.
Una sorta di Mazzarri per capirsi; od anche Conte per rimanere al confronto di ieri sera a San Siro.
Anche il tecnico calabrese è buon motivatore. Ma i suddetti due hanno impostato una carriera sulla comprovata capacita di ottenere dai giocatori da loro guidati il massimo rendimento: il cento per cento in termini di intensità e obbedienza tattica.
Quanto alla tecnica, questa è quella che si trova sul posto, valutata per quello che è effettivamente e quindi arricchita da acquisti garantiti dal prezzo.
In campo ci vanno, poi, sicuramente i migliori. I risultati arrivano, dunque. Ma fino ad un certo punto, quando appare necessario integrare il discorso con sviluppi tecnici-tattici più sofisticati ed affrontare la rivoluzione calcistica in atto in questi ultimi tempi, testimoniati platealmente da ciò che sta succedendo nel campionato italiano (ma non solo) dove formazioni provinciale di “poco prezzo”, mettono in crisi i club più riccamente dotate di mezzi, calciatori ed allenatori iperpagati.
Si parla di Atalanta, Verona, Parma, Bologna e la stessa Lazio del parsimonioso Lotito e del geniale “esperto” Tare.
Che Gattuso sia tutt’altro che un autodidatta sprovveduto si è capito chiaramente dal match del Napoli contro l’Inter alla luce della formazione mandata in campo priva dei suoi due fuoriclasse Koulibalì (indisponibile) ed Insigne per scelta; e, financo, di Milic.
Non potevano essere mosse casuali. Doveva essere un piano tattico meditato e studiato e soprattutto preparato da un lavoro da lui iniziato nel momento di aver assunto l’eredità del suo maestro Ancelotti.
Poco tempo assai per riorganizzare una sistemazione tecnico tattica.
Conte si è trovato davanti una squadra senza alcun punto di riferimento. Corta che si muoveva a fisarmonica senza lasciare varchi in cui avversari potessero incunearsi e far valere la propria superiore cifra tecnica. Un autentica gabbia, in cui i vari Lukaku, Lautaro e compagnia si sono incagliati.
Il messaggio proposto da Gattuso è apparso man mano evidente. Pressing asfissiante sull’avversario e gestione del pallone in palleggio corto in qualsiasi parte del campo. Iniziando dalla rimessa del portiere.
Certo, il rischio di perdere il pallone in questa fase era altissimo, causa un appoggio sbagliato o l’intervento adeguato di un avversario a sua volta in pressing.
Ma così non è stato per 90 minuti, perché Gattuso sulla faccenda ci aveva lavorato su ed i giocatori erano in grado di farlo.
Il risultato è stato che il possesso del pallone è stato favorevole nei tempi al Napoli e che, risucchiando attaccanti e centrocampisti interisti in avanti per cercare di interrompere il possesso napoletano, l’Inter si é allungata lasciando ampi spazi al Napoli per infilare il contropiede e liberare uomini per andare a rete.
Il tutto mentre l’Inter cercava invano varchi passando il pallone in orizzontale per trovare un momento favorevole che non è mai arrivato.
Checchè sia stato detto da alcuni commentatori, il possesso del pallone è stato sempre sterile per l’Inter mentre quello del Napoli ha prodotto la rete della vittoria di Fabien ed una situazione di rigore (manina in area neroazzurra “perdonata”).
Una partita davvero esemplare quella imposta da Gattuso. Che testimonia la sua matura sagacia e competenza tecnica sul campo di allenamento.
Non è un caso, perché Ringhio non è un autodidatta. È nato a “pane e calcio”, essendo figlio di Marco, calciatore di Serie D, che lo avviò a Perugia dove a 17 anni esordisce in Serie B . Si è costruito come centrocampista mondiale studiando su di sé e sfruttando alla perfezione le proprie qualità tecnico atletiche. Per concretizzare le proprie aspirazioni, si è laureato con il massimo dei voti a Coverciano. Renzo Ulivieri, il Patron dell’Associazione Italiani Allenatori, lo cita ad esempio come allievo e lo ricorda come uno “assetato di sapere”.
A volte viene proprio da dire “l’abito non fa il monaco”! Chi lo avrebbe mai detto che dietro un tipo come “Ringhio” si celasse uno studioso, un ricercatore attento in grado di rendere possibili gli impossibili del calcio?
Uno studioso, però, dotato degli strumenti tecnici per tradurre in pratica le nozioni acquisite. Le riprese di gioco del portiere del Napoli con la disposizione strategica dei compagni per rendere possibile il fraseggio corto che manda in barca gli avversari non è un a questione che si realizza alla lavagna.
In primo luogo il curioso Gattuso ha studiato la nuova regola che consente al portiere di rimettere il pallone anche ad altri compagni entro l’area di rigore. Poi le opportunità che questa misura offre; quindi come realizzarle sul campo. Infine verificarle in pratica dedicandogli il tempo e l’allenamento necessario.
Immaginazione, studio e pratica.
Ci vuole padronanza assoluta e pratica della materia; provare e riprovare; convincere la testa dei giocatori sulla necessità mentale di metterla in pratica dando loro fiducia e scaricandoli dalla responsabilità di eventuali sbagli. Oltre a tanta scienza pratica, ci vuole anche tanto coraggio e tanta grinta.
Uno che deve aver capito Gattuso senza dichiararlo coram populi, deve essere sicuramente De Laurentiis, il quale, come magno produttore cinematografico, di talenti se ne intende e che lo ha chiamato a gestire la voragine lasciata da Carlo Ancelotti.
Il Napoli di Gattuso si sta muovendo a corrente alternata: male in campionato; bene nelle Coppe sia Champions (25 febbraio Liverpool) che Coppa Italia. Potrebbe non essere un caso. Una scelta motivata per rendere l’impossibile ereditato nel possibile di un brillante cammino nelle Coppe.