Roma, 24 marzo – Il “profeta del gol” se ne è andato.
Lo ha stroncato un tumore ai polmoni a soli 68 anni. Ci lottava contro da molto tempo, la notizia delle sue condizioni di salute che stavano peggiorando rapidamente girava da un po’, ma tutti speravamo che non fosse vera. Invece, in questo brutto 24 marzo di una delle settimane più brutte della nostra vecchia Europa, è arrivato il decesso che temevamo. A quei pochi che non lo conoscono neanche per la fama o che non lo hanno visto giocare o allenare diciamo subito che se ne è andato un grandissimo del calcio. Una stella di prima grandezza al pari di Pelé, Maradona e Messi. Già, “la pulce”, l’uomo che in questi tempi sta deliziando il palato dei calciofili di tutto il mondo con un Barcellona che per molti è la squadra più forte di sempre, per quanto è continua nelle vittorie e nel bel gioco che pratica. Un gioco che, non dimentichiamolo, deve proprio a Cruijff, che in “blaugrana” giocò la seconda parte della sua carriera, dopo i primi, splendidi, anni all’Ajax e che al Barça, da allenatore, inculcò l’idea che si arriva alla vittoria solo giocando bene.
Che poi era la stessa idea del suo maestro, Rinus Michels, che lo allenò nell’Ajax, dove studiò per diventare il leader della più grande Olanda di sempre. Quella che negli anni ’70 rivoluzionò il calcio con il gioco totale, la zona e la libertà concessa ai giocatori di amministrarsi a loro piacimento fuori dal campo. Niente ritiri stressanti, meglio ritrovarsi in alberghi con fidanzate e mogli al seguito, cocktail e sigarette, tanto poi, una volta dentro all’arena, tutti sapevano cosa fare e come giocare per vincere e deliziare gli spettatori. Solo che a quell’Olanda mancò sempre un titolo: nel ’74 perché perse la finale dei Mondiali in Germania, nel ’78 perché fu fermata, sempre in finale, dall’Argentina. Due sconfitte contro le squadre padroni di casa che, però, non impedirono a quella squadra di entrare lo stesso nella leggenda del calcio, anche se nella seconda Cruijff non c’era, perché in Argentina non volle andare. E nessuno ha mai capito se quella scelta fu dettata dalla voglia di non legittimare la dittatura al potere con la sua presenza in campo o dalle minacce ricevute alla vigilia della partenza.
Le sue vittorie Cruijff le mise insieme con le squadre di club, l’Ajax, il Barcellona e, a fine carriera, il Feyenoord, alle quali ha regalato 22 titoli (8 campionati, 5 coppe d’Olanda, 3 Coppe dei Campioni, 1 Coppa Intercontinentale e 1 Supercoppa Uefa all’Ajax; 1 campionato spagnolo e 1 coppa di Spagna al Barcellona; 1 campionato e 1 coppa d’Olanda al Feyenoord). Da allenatore, poi, la sua striscia vincente è continuata: 2 coppe d’Olanda e 1 Coppa delle Coppe con l’Ajax e, soprattutto, 4 campionati spagnoli, 1 coppa e 3 supercoppe di Spagna, 1 Coppa dei Campioni, 1 Coppa delle Coppe e 1 Supercoppa UEFA con il Barcellona. La squadra della città nella quale aveva scelto di vivere e dove si è spento oggi, in questo triste 24 marzo 2016, un giorno che nella data ricorda un po’ quel numero che indossavi sempre. il 14, nel calcio in cui le squadre scendevano in campo con le maglie dalla 1 alla 11.
Addio Johann. E … grazie di tutto.