Roma, 3 giugno – Galli, Lelj, Callioni, Guidetti, Prestanti, Carrera, Cerilli, Salvi, Rossi, Faloppa, Filippi. Chi di voi, calciofili quarantenni, non ricorda a memoria la formazione del Lanerossi Vicenza di Paolo Rossi? Quello, per capirci, che a sorpresa arrivò secondo nel campionato 1977-78 alle spalle della grande Juventus di Trapattoni. Una squadra che fece epoca e che lanciò nel grande calcio il futuro “Pablito”, che ancora era per tutti uno dei tanti signor Rossi della nostra Penisola. Lui, con i suoi gol, firmò da protagonista quell’impresa, ma altri, alle sue spalle e intorno a lui, contribuirono in maniera decisiva a lanciare quel Vicenza nell’Olimpo del nostro calcio.
In primis, ovviamente, l’allenatore Giovan Battista Fabbri, detto semplicemente “G.B.” per distinguerlo da Edmondo Fabbi, già allenatore della nazionale.
Oggi si è spento a Ferrara all’età di 89 anni e il mondo del calcio italiano è in lutto, perché ad esso ha dato tantissimo e di esso è stato uno degli allenatori principali e più importanti, visto che ha giocato e allenato in 48 campionati ufficiali, dal 1945 al 1993.
Proprio lui, poi, ebbe l’intuizione di spostare Paolo Rossi dal ruolo di ala destra a quello di centravanti per la contingente mancanza di un bomber in squadra.
Con il Vicenza conquistò nell’arco di due anni una promozione in Serie A e quindi nel 1977-1978 uno storico secondo posto nella massima serie alle spalle della Juventus.
Al termine di quella stagione Fabbri vinse il prestigioso riconoscimento del Seminatore d’Oro come migliore allenatore italiano dell’anno. Fu uno dei primi predicatori del calcio totale tanto che amava ripetere: “Il primo attaccante deve essere il portiere”. Con queste sue convinzioni forgiò un Vicenza solido e bello da vedere per il gioco che riusciva ad esprimere, tanto che già nel campionato di B che poi vinse venne ribattezzato il “Real Vicenza”.
Un omaggio insolito per una provinciale, accostata senza neanche troppi riguardi al mitico Real Madrid.
Ma quella squadra meritava il paragone, perché in quei due campionati (quello di B 1976-77 chiuso con la promozione in A e quello del secondo posto del 1977-78) espresse davvero un bel calcio. Merito dell’allenatore, è chiaro, ma anche di un gruppo di giocatori composto da ragazzi talentuosi, alcuni dei quali, appena arrivati a Vicenza, erano stati anche sottovalutati dagli stessi tifosi e dalla critica cittadina, ma che poi si dimostrarono di grande valore e personalità.
Pensiamo al portiere Ernesto Galli, uno dei pochi che sul finire di quegli anni ’70 parava ancora a mani nude, senza guanti, come si era sempre fatto in passato.
Oppure a Giuseppe Lelj, soprannominato “la roccia d’Abruzzo” per la fisicità e le origini, terzino destro e marcatore della squadra insieme a Prestanti, che con il libero Carrera formava la coppia di centrali.
Davanti a loro, argine della difesa e bravissimo nelle incursioni offensive, il tostissimo mediano Guidetti, mentre sulla fascia sinistra imperversavano Callioni o anche Luciano Marangon. Terzino d’attacco, quest’ultimo, che dopo aver infranto molti cuori femminili e chiuso con il calcio si è dedicato alla gestione di alcuni locali nelle isole più esotiche del Mediterraneo.
A centrocampo, insieme a Guidetti, c’erano i due pensatori della squadra, Salvi (31 anni e una vita alle spalle trascorsa nella Sampdoria) e Faloppa, il capitano. Dai loro piedi partivano le azioni d’attacco, che trovavano la loro spinta propulsiva nelle accelerazioni sulle fasce di Cerilli a destra e Filippi a sinistra e, soprattutto, nelle micidiali capacità realizzative di Paolo Rossi. Lui, il centravanti che non amava la maglia numero nove ma che trasformava in gol ogni pallone vagante in area che gli capitava a tiro.
Con questi giocatori mister Fabbri compì l’impresa più bella della sua carriera.
Quella che lo fece entrare nel cuore e nella memoria di tutti gli sportivi italiani di quei tempi.