Racconti di Sport. Giorgio Chinaglia, invincibile guerriero
Tre anni fa la scomparsa di Giorgio Chinaglia. La “Storia” della Lazio.
Roma, 31 marzo – Diceva molti anni fa Sandro Ciotti, popolarissimo radiocronista della celeberrima trasmissione “Tutto il Calcio minuto per minuto”, che quando uno sportivo veniva etichettato con più soprannomi o comunque identificato con vari riconoscimenti era certamente un GRANDE.
L’ occasione ci è data dal ricordo della scomparsa di Giorgio Chinaglia, morto il 1° aprile del 2012,
Il popolare Giorgione, Long John, Chinaglione, il Gobbo, il Comandante è stato un personaggio di punta non solo nella storia della Lazio ma anche del panorama nazionale ed internazionale.
È apparso come un Messia nell’estate del 1969 all’indomani del ritorno in serie A della Lazio e certamente non era immaginabile, vista la provenienza da una squadra dell’allora serie C come l’Internapoli, che diventasse il “simbolo” della storia dei biancocelesti. Giorgio Chinaglia è stato lo spartiacque della storia della Lazio, una sorta di affrancatore dei sogni e delle speranze del popolo laziale, perché pur avendo annoverato nelle proprie fila, in generale nella propria storia, leggendari campioni,la Lazioed i suoi tifosi venivano sempre trattati come parenti poveri, quasi ospiti nella propria città.
Tutto ciò avvalorato anche da un atteggiamento collettivo dove il laziale era il “burino” ed il romanista il “cittadino”; in quest’ottica anche la filmografia si esprimeva con le prese in giro del grande Alberto Sordi.
Chinaglia con i suoi atteggiamenti, a volte discutibili, ha portato una determinazione, una ferrea volontà, un non mollare mai che ha indotto il popolo laziale a credere che qualsiasi traguardo potesse essere raggiunto.
Al suo mentore, il suo secondo padre Tommaso Maestrelli, fu chiesta una volta la ricetta chimica per creare il giocatore “ideale” perla Lazioe Tommaso rispose: “Prenderei lo slancio di Wilson, la corsa di Re Cecconi, il fiato di Martini, l’intelligenza di Frustalupi ma soprattutto la gran voglia di vincere, di vincere sempre di Chinaglia!”.
Nel ricordare la sua feroce determinazione, frutto della sua cultura britannica di emigrante in Galles, suggestiva fu una testimonianza di Paolo Condò della Gazzetta dello Sport che rimase sorpreso, in una partita della Nazionale in Lussemburgo, di come Chinaglia ancora “spingesse” sull’acceleratore nel finale di gara con un 4-0 comodamente acquisito. A precisa domanda Giorgione spiegò di come si sentisse partecipe del sentimento dei tanti nostri connazionali che sugli spalti gioivano per i loro beniamini, significando in quel senso una sorta di “riscatto sociale” della loro condizione di emigranti.
Lo spirito di invincibile guerriero lo accompagnò in tutti gli anni della sua militanza laziale provocando una incredibile rivalità con la fazione romanista.
Per far capire l’enorme carisma che emanava, nell’estate del 1983 diventò Presidente della Lazio appena ritornata in serie A e di colpo riuscì a limitare l’incontenibile entusiasmo dei giallorossi freschi vincitori di uno storico scudetto. C’era il terrore, sportivamente parlando, che il ritorno dell’acerrimo nemico potesse azzerare lo strapotere cittadino dei rivali. Le cose poi andarono diversamente.
Molta di tale abnegazione si deve senz’altro ricondurre al rapporto speciale con Tommaso Maestrelli, un tutt’uno che spesso sfociava in un caldo abbraccio ad ogni segnatura del centrattacco.
Come ogni grande personaggio Long John ha avuto gratificazioni e successi anche in altri campi; gli sono state dedicate canzoni, riferimenti cinematografici e teatrali ma la cosa che stupisce ancora oggi a distanza di più di quarant’anni è l’amore smisurato della gente laziale, direi un amore “integralista” senza discussioni di sorta anche e soprattutto al di là di errori e fallimenti maturati nell’esperienza da Presidente.
L’ultima grande testimonianza si è avuta nel settembre del 2013 quando la sua salma è stata riportata a Roma, dalla Florida dove si era spento, con la famiglia Maestrelli che lo ha accolto nella cappella di famiglia al cimitero romano di Prima Porta. Un gesto enorme, sostenuto anche da alcuni vecchi compagni di squadra come Pino Wilson e Giancarlo Oddi, di una famiglia che lo ha sempre trattato come un ulteriore figlio e la risposta del popolo laziale è stata oceanica.
Un ultima chiosa consentitela al vostro umile cronista che ha vissuto in maniera “viscerale” l’epopea di Giorgione, una sorta di John Wayne contro tutti e contro tutto.
Nell’ultimo periodo della sua vita, nonostante l’applicazione di 4 by-pass coronarici, è mia convinzione che Giorgio si sia lasciato andare, ormai stanco e provato da vicissitudini di carattere giudiziario che lo affliggevano in Italia. Il non poter tornare per chiarire definitivamente la sua posizione è stato un cruccio invalicabile per un orgoglioso come lui che troppo ingenuamente si era prestato ad affiancare personaggi dimostratisi loschi ed inaffidabili, sempre e soltanto per riconquistare la sua Lazio.
Non ce l’ha fatta a gridare ancora una volta “Giorgio Chinaglia è il grido di battaglia!”