Roma, 8 luglio 2023 – La penuria di attaccanti italiani dei nostri giorni ci fa spesso pensare ai tempi d’oro del nostro calcio, in cui invece ce ne erano in abbondanza.
A quegli anni ’70 e ’80 in cui ogni domenica ammiravamo le gesta di attaccanti puri e veri come Paolino Pulici (nella foto) e Graziani, Pruzzo, Chinaglia, Savoldi, Paolo Rossi, Bettega, Boninsegna, Virdis, Gigi Riva, Altobelli e compagnia cantante.
Erano talmente tanti e forti che alcuni di loro, a causa della concorrenza, hanno accumulato pochissime presenze in nazionale.
Quasi fossero dimenticati dai Ct di turno. Pensiamo ai succitati Pruzzo, Paolino Pulici, Beppe Savoldi o a Prati, Muraro e Giordano.
Tutta gente che avrebbe meritato più maglie azzurre di quelle che ha collezionato e che, se giocasse oggi sarebbe titolare fissa nella nazionale di Mancini, che paga anche la grande mancanza di attaccanti italiani veri e forti.
Al punto che il Ct, per trovare delle alternative, ha dovuto fari ricorso ai vari Retegui e Gnonto che, in quegli anni, avrebbero solo allacciato gli scarpini alle punte d’oro succitate.
Tutte figlie e prodotti di un calcio italiano prima autarchico e poi con gli stranieri limitati, che per questo aveva fatto nascere più generazioni di fenomeni in ogni ruolo.
Perché tutto il movimento era costretto a puntare sui vivai e a far emergere, da questi, i giovani più forti, che poi esaltavano le nostre nazionali con il loro talento.
Ecco perché, noi che abbiamo vissuto quel periodo, lo ricordiamo con grande nostalgia.
Perché quei giovani, cresciuti nelle nostre squadre e poi diventati loro bandiere, ci regalavano un forte senso identitario e di appartenenza che oggi è diventato quasi sconosciuto.
Molti dei calciatori di allora parlavano perfino il dialetto della zona del club con cui giocavano. Oggi, in uno spogliatoio qualsiasi, la lingua ufficiale è diventata l’inglese.