Roma, 28 marzo 2018 – Il pareggio di Wembley 1-1 è il conseguente risultato del pressing a tutto campo adottato dagli azzurri contro l’Argentina, l’Italia vi era riuscita per metà della partita. Contro l’Inghilterra ha tenuto per i 90 minuti, tant’è che calcio di rigore – procurato dal giovane Chiesa e realizzato freddamente da Lorenzo Insigne – è arrivato in Zona Cesarina, frutto proprio del pressing.
Gli azzurri addirittura hanno tentato di vincere costringendo gli albionici a ricorrere alla melina perditempo per evitare l’umiliazione di una sconfitta agli 82 mila accorsi allo Stadio
Gigi di Biagio, in pochi giorni, ha realizzato ciò che nessuno dei suoi più blasonati e profumatamente pagati predecessori era riuscito a realizzare: il pressing vero, quello a tutto campo per novanta minuti che non deve essere individuale ma corale. In attacco, come in difesa.
Una dotazione tecnico-tattica da cui nessuna Nazionale e Club che vogliano essere competitivi, possono prescindere.
L’attuale CT, cinicamente “a tempo” o ” traghettatore”, col poco tempo a disposizione non poteva fare altro che concentrarsi sul fondamentale punto di partenza del calcio moderno, il pressing. Scegliendo i giocatori più idonei, spiegando a voce, in video ed allenamento come procedere per aggredire gli avversari simultaneamente e coralmente onde impedire loro la manovra e togliergli il possesso del pallone.
La gestione della sfera è poi cosa diversa e necessita tempo, molto tempo ed è un altro discorso che riguarda un futuro .
Al momento la prima tappa necessaria è stata raggiunta.
Per quanto riguarda gioco e giocatori, il buon senso di Di Biagio ha selezionato un assieme che potesse essere il più possibile affiatato. Andando a recepire elementi di spessore che giocano nello stesso club e possibilmente nello stesso reparto. Non era certo semplice giacchè nei club più importanti, la grande maggioranza dei giocatori sono stranieri. Così il tecnico ha assemblato con la Lazio per la coppia Immobile- Parolo, al Napoli per la coppia Giorginho- Insigne, napoletano come Immobile. Ha quindi puntato sul “blocco difensivo” Juve-Milan (legato dall’ex bianconero Doc Bonucci) con: Di Sciglio, Rugani (Chiellini non disponibile), Bonucci, Donnarumma. Quindi si è rivolto ad alcuni “levrieri sciolti” quali Zappacosta (Chelsea di Antonio Conte) Candreva (Inter), Chiesa (Fiorentina). Optando per tenere in panchina il miglior centrocampista italiano – il parigino Verratti, in crisi di identità quando indossa la maglia azzurra – mentre il granata Bellotti è stato utilizzato come vice Immobile.
Se per quanto riguarda il “fondamentale” pressing, il lavoro di Di Biagio è apparso senz’altro molto redditizio in quanto a impedimento dell’altrui gioco, in relazione alla gestione del possesso, il progetto è apparso fallimentare o quanto meno assai lontano dal successo sulla base degli uomini selezionati.
Il problema di questa nazionale è il linguaggio tecnico-tattico. Un problema di comunicazione.
Il calcio oggi vincente al mondo, ha abolito la schematicità dei reparti che era : difesa per impedire che avversari vadano in porta; centro campo per costruire gli schemi e fare raccordo; attaccanti per rifinire l’azione a rete. Ognuno dei membri di tali reparti doveva rispondere a precisi dettami tecnici-fisici. Al difensore era richiesta fisicità. Al centrocampista, visione di gioco, palleggio e facilità di gioco; agli attaccanti velocità, potenza, dribbling. Al portiere parare.
Il calcio odierno maggiore, ha modificato questi assunti. Di base tutti devono sapere fare tutto quando hai il possesso del pallone. A cominciare dal portiere che è diventato un difensore aggiunto.
Un esempio per rapidamente inquadrare il gioco del portiere. Strakosha della Lazio, fra i pali e nella sua area è un fenomeno, ma guai ad usare il piede…. È un limite enorme perchè troppo spesso finisce per consentire agli avversari il possesso del pallone per il quale i compagni hanno molto lavorato.
Nella squadra allestita su due piedi da Di Biagio, si trovano a coesistere due scuole, quella del tradizionale calcio all’italiana: difesa ermetica e bloccata almeno nei centrali. Con due terzini promossi ad esterni difensivi. Centrocampo a 3-5 uomini che si dedica a costruire ed in qualche caso ad inserirsi avanti. Attacco che aspetta le imbeccate profonde o di cross.
I difensori non devono prendere gol. Talvolta sono chiamati ad esibire la propria fisicità sui calci d’angolo o sulle punizioni . Per il resto, al massimo Bonucci – ed a volte (udite udite!) emulato anche da Rugani) – sono loro a eseguire direttamente servizi lunghi verticali per le punte.
Così, al novanta per cento dei casi, addio al possesso! A loro comunque, non è richiesto il tocco di piede, il palleggio, anche se sono i fondamentali per un professionista di calcio. Il tichi-tachi in spazi ravvicinati di espressione spagnola, per loro è una novità. Si scambiano il pallone per un possesso difensivo, a distanza di 20 metri, favorendo così il piazzamento degli avversari.
Per quello che si è visto in queste due amichevoli, Di Biagio ha tentato di fare ripartire il gioco dalla difesa con passaggi corti e scambi morbidi. Ma spesso con conseguenze nefande : perdite del possesso e pericoli gravi per la propria porta. La rete inglese di Vardy, nasce proprio da manovre approssimative in zona nevralgica.
Al contrario, attaccanti come Insigne e Candreva (più abituati ad un gioco totale perché giocano nella Lazio moderna di Inzaghi o nel Napoli sarriano), non hanno avuto difficoltà, alla bisogna, di distinguersi più come difensori aggiunti che come attaccanti.
Il centrocampo ha avuto molta difficoltà a coordinare adeguatamente le manovre per la poca attitudine, o capacità, della difesa, ad impostare decentemente la ripartenza con modalità corta ed ordinata.
Parolo, Pellegrini, Candreva, Giorginho, Zappacosta si sono trovati perciò a girare a vuoto. Idem le punte. Insomma appare evidente che questa Nazionale parla due lingue diverse ed antitetiche. Ed è proprio questo il rebus da sciogliere.
In attesa che i grandi club dove militano i giocatori italiani (pochi) migliori, aggiornino i loro tecnici puntando su giovani e moderni allenatori. Chi gestisce l’Italcalcio cerchi di omologare soprattutto il linguaggio che deve essere in campo uno solo, quello indicato dal responsabile tecnico. Senza timori reverenziali per nessuno. Tutto sommato bravi Di Biagio e Costacurta. Ed anche il Commissario del Coni Roberto Fabbricini.
Quanto al neo Presidente della Lega di Serie A, il banchiere Gaetano Miccichè, il suo discorso di insediamento non appare il più propizio per le fortune future della Nazionale. Suo intendimento è quello di valorizzare il calcio italiano, badando esplicitamente agli interessi dei Presidenti di società (anche quelli cinesi ed americani) che investono il proprio denaro nel calcio in vista di guadagni di natura economica. Quale è questo business, visto che gli incassi da botteghino, ormai, sono minimi?
Oltre che dagli introiti televisivi e di marketing, sono nella compravendita di giocatori. Si compra all’estero dove costano poco e si vendono all’estero dove pagano di più. In altri termini depauperando l’Italia calcistica che, invece, potrebbe ritornare a brillare e attirare risorse e talenti grazie al richiamo della Nazionale. Cosa che accade per esempio altrove. Ieri a Londra 82 mila spettatori per un’amichevole contro un paese che non si è neanche qualificato per i Mondiali. In Italia gli stadi sono semivuoti. Per un amichevole contro l’Inghilterra, si sarebbe giocato in provincia, in stadi da 30 mila posti.
Un briciolo di avvedutezza consiglierebbe anche a chi pensa al business che uno sport si lancia (lo vediamo in altre discipline sportive, come in questi giorni Formula Uno, Moto GP e Ciclismo) con le fortune da parte dei massimi rappresentanti. Uno sport che tira a livello di Nazionale attira migliori praticanti e maggiori risorse di ogni tipo.
Se il calcio professionistico capisse quali sono i suoi maggiori interessi, per prima cosa si strutturerebbe in modo da garantire al CT di disporre date per richiamare a Coverciano frequentemente le risorse azzurre al fine di insegnare a tutti la pratica di una medesima lingua.
Questo senza tanti giri di parole.