È fuori di dubbio che l’ex areoplanino romanista sia attualmente fra i migliori talenti (se non il migliore) fra gli allenatori operanti nel Massimo Campionato italiano. Quello che lui è riuscito a realizzare con questo Milan, provinciale, zeppo di giovani italiani e mezze figure (poche) straniere.
Rimanendo nei latinismi cari al Presidente Lotito, per Montella vale anche un altro aforisma : “Nemo propheta in patria”. Infatti lui per dimostrare che come allenatore aveva lo stesso talento espresso da giocatore, ha dovuto emigrare altrove.
Con una rosa di giocatori da ultima della classe, questo Milan , pur privo del suo unico talento vero, Jack Bonaventura, stava, infatti, riuscendo, domenica, ad imbrigliare una Roma zeppa di super giocatori. Come c’era riuscito? Un segreto che solo Vincenzo Montella può conoscere. Ed appare più serio neanche provare a spiegarlo.
Bravo Montella. Evviva Montella che ha richiamato entusiasmi a San Siro e rifatto ringiovanire Berlusconi che sta facendo marcia indietro sulla strada della cessione della squadra ai cinesi!
Ed invece no. Anche Vincenzino ha mostrato di avere un suo punto debole. È difficile trovare, l’allenatore perfetto, direi impossibile. La scena calcistica ha visto tanti allenatori magnifici, capaci di imprese eccezionali. La maggior parte di questi avendo qualcosa in comune: una personalità prorompente e prepotente capace di imporre attorno rispetto ed acquiescenza. Occorre, infatti, un ego cospicuo per ottenere, in ambienti difficilissimi, il consenso necessario per perseguire I propri intendimenti.
Questo Superego richiede dimostrazione costante della propria infallibilità che si traduce praticamente in una sorta di nevrosi sempre in agguato: se si fa un errore ne va della propria credibilità e salta il tavolo.
È superfluo testimoniare esempi. Le parabole di certi allenatori come Jose Mourinho, sono più che eloquenti. Insomma, Il Migliore non sbaglia mai. Qualsiasi mossa, anche se apparentemente negativa, ha una sua strategica ragione d’essere. Guai ad ammettere un errore!
Quindi deve, perciò perseverare nella sua strategia (forzando iI fatti) per dimostrare alla fine che aveva ragione. Che la sua scelta pagava. Spesso infilandosi in un tunnel senza uscita. Innescando tutta una serie di reazioni a catena che portano in malora.
Per capirci, restando ad esempi vicinissimi. La topica di Spalletti nei confronti di Totti. L’allenatore toscano per imporre l’identità totale fra la Roma ed il suo allenatore, doveva far scomparire lo scomodissimo mito Totti. Forse trovandosi spalleggiato anche da qualcuno nella Roma che trovava gravoso l’impegno economico verso il giocatore.
Di quì l’imperativo “devo dimostrare che anche senza Totti la Roma è forte, forse anche di più! Ed , invece, gli andò male, anzi malissimo. La Roma è rimasta grande solo e soltanto per quegli scampolii di partita in cui Spalletti chiamava al lavoro l’umiliatissimo supergiocatore.
Ma a ben facilmente constatare, da parte di Spalletti non vi è stata mai alcuna resa effettiva. Dal momento in poi, in cui la Società gli ha imposto di richiamare il giocatore offrendogli una permanenza nella Roma come giocatore non come figurina, Spalletti non ha mai cessato un momento per dimostrare la sua teoria: Totti non serve facciamo da soli!!!
Un’impresa assolutamente alla portata potendo disporre, comunque, di una compagine realmente forte, con tanti giocatori di spessore, a cominciare da Naingollan e Dzeko. Il teorema, perciò, ha cominciato a funzionare e, fatalmente, a Totti sono stati diagnosticati misteriosi attacchi di influenza per non portarlo nemmeno in panchina. Salvo poi schierarlo dal primo minuto in Champions – a qualificazione ormai avvenuta, con una squadra di brocchi, come l’impresentabile difensore di colore Moustapha Seck – solo per fargli fare brutta figura.
Tutto ciò per esemplificare con l’attualità come l’operato di allenatori bravi e preparati, si vada, poi, a confondersi con prese di posizioni che soddisfano più il proprio ego che razionali istanze tecniche o tattiche.
Se andiamo a vedere nei dettagli, gli allenatori che vanno per la maggiore in Italia sono quasi tutti affetti da questo tipo di sindrome. Per esempio: Sarri; lo stesso di Francesco. Anche Allegri ha le sue fissazioni , specie in termini di sostituzioni, turn over, pallini e panchine. E le difende a tutti i costi. Conte ha i suoi convincimenti soprattutto a riguardo la sua preferenza a considerare importanti e decisivi giocatori che conosce e di cui ha piena fiducia specie per quanto riguarda la tenuta mentale in campo ed il rispetto delle istruzioni strategiche.
Appaiono sicuramente meno nevrotiche personalità come quelle di Ranieri, Ancelotti ed il portoghese Paulo Souza. Meno nevrotiche, ma non necessariamente di maggior successo, almeno in tempi brevi.
Dunque Vincenzo Montella ed i calci di rigori sprecati dal Milan. Con tanta buona volontà e discrete sorte benigna. Il Milan, in difficoltà perfino con il Crotone, un paio di turni fa ottiene un calcio di rigore procurato dall’ottimo Lapadula. Un raggio di sole in un match difficile e significativo. Lapadula si aspetta di tirarlo lui. Dispone di una personalità sicura e senza complessi che gli assicura la serenità per tirare con sicurezza il penalty. Montella, dalla panchina, impone Nyang.
Chiunque abbia visto giocare, anche pochi minuti il giocatore franco-senegalese, si è reso conto della incostanza tecnica. Fisico superbo alla Ballotelli con I piedi una volta ci azzecca e l’altra no.
Bene Montella, invece, ha gli elementi a sua disposizione per ritenere che sia lui il rigorista della squadra. Nyang tira il rigore e se lo fa banalmente parare – il terzo sui 6 da lui tirati da quando gioca in serie A.
Fortunatamente il Milan riesce a superare il Crotone con I brividi: “Audentes Fortuna Iuvat”, la fortuna aiuta gli audaci. Nel caso, Montella potrebbe aver offerto alla promessa franco-senegalese l’occasione per un’iniezione di fiducia. Nyang non può continuare a tirare rigori. Sembra ovvio. Potrebbe avere effetti devastanti soprattutto per lui. Fine della vicenda.
Arriva, piuttosto, la grande sfida fra le due vice-juve. Match difficilissimo ed importantissimo. Il Milan lo affronta all’Olimpico in condizioni di netta inferiorità. Ma la formazione inventata da Montella regge benissimo la prova del campo. Irretisce la Roma e con una splendida incursione di Lapadula, ancora, ottiene il calcio di rigore per l’1-0. Un sogno! Ma non è Lapadula a tirarlo è Nyang!!! Incredibile! Ma non è, invece, incredibile che lo deponga nelle mani del meravigliatissimo Skerzeny. E la Roma si aggiudica il derby con un capolavoro di Naingollan.
Negli spogliatoi il capolavoro di Montella che la dice lunga sulla teoria da noi espressa a proposito delle complesse personalità, o nevrosi, degli allenatori di successo.
Con tutta la sua proverbiale calma olimpica, ribadisce il concetto che aveva dato istruzioni prima della partita che il rigorista sarebbe stato Nyang ancora. Aggiungendo che anche il prossimo calcio dal dischetto sarà lui a tirarlo.
Errare umanum est, perseverare……..
Per fortuna del Milan lo stesso Nyang ha assicurato che si guarderà dal farlo lasciando l’onore e l’onere al compagno di squadra Lapadula.