Roma, 1 marzo 2018 – Tredici risultati utili consecutivi in partite ufficiali (ovvero tra campionato e coppe) il Milan non li metteva insieme da 9 anni, dicembre del 2009. A quei tempi Gennaro Ivan Gattuso, per gli amici “Rino”, era ancora un giocatore rossonero, seppur agli sgoccioli di una carriera fantastica, che 3 anni dopo lo avrebbe portato a salutare il Milan dopo 13 stagioni, 468 partite ufficiali e 11 gol.
Ma soprattutto dopo aver dato l’anima, le ginocchia, tutto il corpo e la mente alla causa rossonera, dimostrando un senso di appartenenza che pochi altri giocatori, di ogni squadra, hanno dimostrato nel tempo. Lo stesso dei suoi compagni di avventura a Milanello. Maldini e Baresi, Costacurta e Ambrosini i primi che ci vengono in mente. Lo stesso che, quando è stato chiamato al posto di Montella sulla panchina della prima squadra (lui allenava la Primavera), ha cominciato ad inculcare ai milanisti di oggi, fino a quel momento apparsi spenti e quasi demotivati.
Un senso di appartenenza che sta sempre alla base dei successi sportivi di ogni squadra, insieme alla preparazione fisica (dalle parti di Milanello si dice che Gattuso l’abbia rifatta quasi da capo) e ad un logico schieramento tattico, basato più sulle caratteristiche dei giocatori che si hanno a disposizione che sulle proprie idee, magari contrastanti con le attitudini di questi.
E sui giovani usciti dal vivaio, per i quali è più facile capire l’importanza della maglia che si veste. Pensiamo ai Donnarumma, ai Calabria, ai Cutrone, insieme ai quali altri italiani sono diventati i pilastri del Milan “gattusiano”: Bonaventura, Romagnoli, Bonucci. Gattuso, da quando è arrivato, ha messo in atto tutto questo e il Milan è rinato dalle ceneri nelle quali era stato ridotto da Montella.
Così sono arrivati i risultati in serie in campionato, che lo hanno riportato a vedere la zona Champions e a sognare un sorpasso sull’Inter, da battere assolutamente nel derby di domenica sera.
Così è arrivata la qualificazione agli ottavi dell’Europa League, nei quali se la vedrà con l’Arsenal, in una sfida prestigiosissima.
Così è arrivata, seppur ai rigori (con quello decisivo segnato proprio dal laziale Romagnoli), la finale di Coppa Italia, che giocherà allo Stadio Olimpico di Roma il prossimo 9 maggio contro l’avversaria di sempre, la Juventus, che Gattuso, da giocatore, sconfisse, sempre ai rigori, nella finale di Champions disputata a Manchester nel 2003.
Risultati che sono arrivati tutti per merito suo. Di Rino “Ringhio” Gattuso, per il quale, lo confessiamo, abbiamo sempre avuto un debole. Perché lui in campo dava sempre il trecento per cento, correndo per se e per gli altri, nel supremo interesse della squadra. Concetti semplici come il calcio che ora anche i suoi giocatori hanno imparato.
E i risultati si vedono.