Roma, 25 dicembre 2018 – “Ammazza quanto rompono co’ sto boxing day” mi dice il fornaio che mi sta preparando il pane per Natale. “Ma che se credono, che semo inglesi? Quelli nun c’hanno gnente da fa’ pe’ le feste. Noi si” gli fa eco il macellaio dove prendo la carne. “Ma che se credono che stamo sempre a vede’ le partite? Ma dai su, nun se po’ gioca’ sempre e a tutte le ore” chiosa il pasticcere dove passo a prendere il dolce. Beh, a sentire loro ‘sto “boxing day” (che altro non sarebbe che il campionato giocato il 26 dicembre) non piace proprio. Poi senti gli altri, quelli che lo devono vendere bene in televisione e che lo hanno fortemente voluto, e ti dicono che è la vera novità di un campionato che la Juve ha già ucciso e sepolto. Sai che entusiasmo giocare per arrivare secondi. E’ questo il problema da risolvere per ridare passione al calcio in Italia. No il boxing day. Perché questo c’era pure negli anni ’70 e ’80, quando ricordo partite giocate anche al pomeriggio del 31 dicembre, tutte insieme, come si faceva allora. Quando il calcio italiano era bello, forte e attraente. Tanto che, dopo la riapertura delle frontiere, tutti i migliori calciatori stranieri vennero a giocare nelle nostre squadre. E il fornaio, il macellaio e il pasticcere, che erano ragazzi come me, erano pure contenti di andare allo stadio a vederli. Perché in campo c’erano quelli forti e le partite iniziavano e finivano tutte insieme. Era questo che dava fascino al calcio italiano di quel periodo. Altro che “boxing day” dei tempi nostri!