Roma, 8 gennaio 2017 – Nel calcio Italiano una squadra entra nel novero delle Grandi solo quando attorno a sé è riuscita a crearsi un alone di sudditanza psicologica.
Far parte di questo Grande Club non è soltanto un fattore di prestigio. No. È assai di più. , Anzi, è un elemento necessario e determinante per chi abbia qualche ambizione importante. Ogni società calcistica che si rispetti e che abbia qualche ambizione, si deve dotare di un staff che si occupi solo di questo.
La sudditanza psicologica è insita in una società come quella italiana basata sul clientelismo. Fare un favore al potente significa poi ottenere a tua volta altri favori e comunque è meglio non schierarsi contro.
La storia del calcio italiano è, così, costituita da quella di alcune squadre di censo e di rango come Juventus Milan ed Inter. E le altre a fare da contorno od ad approfittare di rare contingenze favorevoli come il Cagliari di Gigi Riva. Anche perché si trattava di un riflesso sostanzialmente spontaneo, non organizzato e codificato.
Il buon Luciano Moggi, invece, per renderlo più scientifico lo elevo a sistema. Il Sistema Juventus. Ovvero: laddove “ il troppo stroppia!.”
Esaurito il terremoto provocato dall’incursione del Procuratore di Torino, Raffaele Guariniello, la Rete Sudditanza Psicologica è andata gradualmente ed inarrestabilmente a ricomporsi, introducendo nuovi attori e nuove forze socio economiche. Vedi Roma e Napoli.
Si è calcolato che gli effetti della sudditanza psicologica offrono ai Soci del Grande Club fra i 10-20 punti in più a campionato. Ovvero a parità di episodi la Grande incassa 10-20 punti in più della minore. Il che vuol dire, alla fine del campionato per quest’ultima dai 20 ai 40 punti in meno.
Non asseriamo, però, che gli arbitri si vendono le partite. Che adottano una regia in campo per pilotare il risultato.
La tecnica è quella semplice “In dubbio pro reo”, dove il reo si deve intendere il Super club.
Aggiungo che questo processo mentale non è studiato a tavolino, ma è la risultanza quasi naturale e spontanea dell’essere “cliente”.
L’arbitro italiano di calcio è un professionista che attraverso il suo mestiere porta a casa all’anno ed al mese centinaia di migliaia di euro. Arbitrare la serie A, sono tanti quattrini. Essere arbitro internazionale sono altri tanti quattrini.
Far parte di questa ristretta cerchia umana dipende dal “panel” che controlla il gioco. E cioè alla fine dei superclub che controllano FIGC e soprattutto la Lega Pro..
Fare uno sgarro ad un importante significa pregiudicare carriera e soprattutto i guadagni. Tutto ciò lavora nella povera mente del nostro povero arbitro quando scende in campo..
Spiegato il meccanismo, ecco spiegate le tante ingiustizie che mortificano tante partite fra Grandi e Piccole come nel caso Strootman nel derby romano, dove la piccola era la Lazio di Lotito e che si è conclusa con la riqualificazione dell’olandese. O come nel match di Napoli dove è stato espulso il povero Silvestre, reo per il brindisino Marco Di Bello, di aver corso troppo vicino al portiere Reina, come tutte le moviole hanno abbondantemente dimostrato. In superiorità numerica il Napoli è così riuscito a trasformare una meritata sconfitta, per 0-1, in una vittoria piena (2-1) che la lascia ancora nel novero delle Grandi.
Che il 34enne fischietto brindisino avesse , anche prima dell’espulsione, cercato di offrire qualche aiutino non richiesto all’inconsistente Napoli di Sarri, si era , comunque, già palesato per svariate posizioni di fuori gioco degli attaccanti napoletani non rilevate.
Dispiace per la meritevole squadra di Sanpaolo destinata a battersi per la salvezza ma, purtroppo, così vanno le cose
Per la formazione partenopea ottime notizie non tanto per i 3 punti recuperati in qualche maniera, ma per essere entrata definitivamente nell’ Esclusivo Club dei Grandi. Quella di ieri, infatti, è almeno la terza partita quest’anno che la formazione campana recupera grazie a qualche provvidenziale aiutino. Ormai siamo nel sistema!
Ora, per favore, basta con le lamentazioni e le insinuazione contro la Juventus. Poiché “Accà nisciune è fess”.