Oggi, dopo aver visto la Juventus pareggiare a Udine – grazie ad una punizione inventata dall’arbitro Damato di Barletta a conferma del teorema “0rwelliano: siamo tutti uguali ma la Juve è più uguale degli altri”-, ripensando all’occasione persa dalla Roma di riavvicinarsi davvero ai bianconeri, è sorto un dubbio: ma se la Juve va avanti solitaria per la legge orwelliana e la Roma non sa approfittarne perché contro di lei gli avversari si esaltano, non sarà tanto per merito di Simoni Inzaghi e di Sarri quanto di qualche responsabilità di Spalletti?
La bella e convincente Roma che aveva esaltato un paio di settimane fa contro il Torino, l’Inter ed il Villareal era vera od un miraggio?
E successo qualcosa nel frattempo cui non abbiamo dato peso?
Abbiamo studiato un po’. Siamo andati a vedere la Roma più bella, quella fuori casa del 4-0 sul Villareal che ha spianato la strada al cammino della Roma in Europa League. Abbiamo rivisto il film della partita e riletto quanto era stato scritto da ‘attualità.it‘ il 17 febbraio “La Roma c’è, ma non Florenzi“.
Abbiamo confrontato quella squadra con quelle schierate (soltanto due settimane dopo) contro Napoli e Lazio; e abbiamo constatato che erano tatticamente disposte con moduli totalmente diversi. Dal 3-4-2-1 Spalletti è passato al 4-2-3-1. Non ci piace la moda dei numeri: in campo ci vanno i giocatori non i numeri. Ed invece, in questa circostanza bisogna dire che i numeri rendono bene la situazione perché a seconda del modulo cambiano i giocatori che il tecnico manda in campo.
La squadra che esaltava e vinceva schierava tre difensori aitanti dal piede non raffinato. Constava di una seconda linea duttile pronta a difendere ed attaccare composta da Peres sulla fascia destra, De Rossi e Strootman registi centrali ed Emerson sulla fascia sinistra.
Su una terza linea, leggermente più avanzata per poter filtrare in zona gol e scambiare con la punta, erano Nainggollan e Salah ( o El Sharawi). Giocatori brillantissimi nel creare situazioni di pericolo per gli avversari. Una Roma a trazione anteriore con una forza offensiva dirompente che andava avanti a suon di gol realizzati da Dzeko e Nainggollan.
Bene, quella Roma, bella, completa vincente e convincente, ad un certo punto è sparita alla vigilia degli impegni con Lazio e Napoli sostituita nel modulo e nei giocatori da una formazione a trazione più posteriore.
L’impressione è che Spalletti abbia avuto paura di Lazio e di Napoli, entrambe schierate con tre punte, ed abbia modellato una squadra con 4 difensori puri e dai piedi grezzi Rudiger, Manolas, Fazio e Juan Jesus. Per rinforzare il centrocampo ha richiamato Perotti sistemandolo a sinistra, lasciando in panchina Peres, Emerson e Salah. I primi due erano alla base delle ripartenze della manovra giallorossa, l’egiziano alla base di quelle brucianti azioni che scompaginano qualunque difesa avversaria. Come è accaduto anche domenica quando Spalletti al 52’ ha deciso di tirarlo fuori dalla panchina. Ma era troppo tardi.
Si direbbe quasi che Spalletti (come per Totti) preferisca tenere in panchine i giocatori decisivi per mandare in campo quelli meno talentuosi!!
Ne è risultato un autentico suicidio. Senza le iniziativa dei tre suddetti, la Roma domenica
(“nel primo tempo”- ha ammesso Spalletti – ma noi aggiungiamo: “da quando è entrato Salah!”) ha mostrato un gioco piatto che cercava solo di operare cross alti per la testa di Dzeko. Un gioco che praticavano gli inglesi prima della seconda guerra mondiale. A Simone Inzaghi ed a Sarri (che aveva preso appunti guardando il Deby) è bastato fare pressing sulla difesa della Roma sapendo che prima o dopo qualcuno di loro sarebbe inciampato sul pallone nei disimpegni. Puntualmente è accaduto a Fazio – dopo che Rudiger ci aveva provato più di una volta – e Maertens è filato in rete.
Per quanto riguarda l’attacco, la Roma ha tirato in porta solo nell’ultimo quarto d’ora, dopo lo 0-2.
Spalletti, ancora, nel dopo partita ha dichiarato che nel primo tempo la Roma aveva mancato nel prendersi iniziative coraggiose. Ma chi le doveva prendere se non gli uomini che lui aveva scelto per tradurre in pratica il suo nuovo modulo?
Tempo fa attualità.it, si complimentò con l’allenatore juventino Allegri all’indomani del mutamento di tattica della Juve (che era passato dal modulo difensivo con 4 difensori aitanti , ma ruvidi, a quello anteriore con un difensore in meno ed un attaccante in più) smentendo sé stesso.
Spalletti ha fatto esattamente il contrario. Perché? Aspettiamo dal campo le risposte domenica 12 marzo alle 20.45 da Palermo.
Il pari della Juve ad Udine sta a significare che i giochi non sono ancora fatti. Ma perseverare negli errori, per dimostrare che si ha sempre ragione, potrebbe favorire l’inseguimento del Napoli che a Roma ha trovato morale e pace fra Sarri e De Laurentis.