Calcio
Approfondimento: Il Calcio ed i suoi investimenti
Roma, 24 febbraio 2017 – Ogni tanto, nel riordinare appunti vari, salta fuori qualcosa che avevo letto, messo da parte, e lasciato sulla scrivania in attesa di un approfondimento futuro.
Proprio in questi giorni nel vivere parallelamente vicende quali la “querelle” sullo stadio della Roma ed i lavori per i rinnovi delle cariche federali, presidenza della Lega Calcio e presidenza della Figc, ho ritrovato un articolo uscito su “Il Sole 24 Ore” un po’ di tempo fa a proposito degli introiti delle maggiori società di calcio europee.
Ho pensato, in prima battuta, alle beghe da cortile dei nostri grandi dirigenti calcistici, come del resto succede in politica….., sulle solite questioni riguardanti i diritti televisivi, su come accaparrarsi poltrone e prebende personali, senza il minimo interesse verso la collettività e lo sviluppo del sistema-calcio, inteso come crescita di un mercato rivolto al commerciale, allo sviluppo dei fatturati.
Lo studio condotto dal “24 Ore” si è basato sugli introiti degli ultimi dieci anni dei maggiori clubs europei ed al di là delle solite grandi potenze come Manchester United, Real Madrid e Barcellona, mi ha stupito enormemente la crescita esponenziale di una società come il Paris Saint Germain che da un fatturato di circa 70 milioni di euro del 2006 è esploso a circa 520 milioni di euro del 2016!
I parigini sono il caso più eclatante e vistoso di crescita, impulso dato soprattutto dall’emiro Al Thani attraverso massicci investimenti, ma anche altre grandi società hanno cambiato strategia non rimanendo vincolati ai soli diritti televisivi; una grande potenza come il Bayern Monaco, col nuovo impianto dell’Allianz Arena, ha portato il proprio fatturato da 223 milioni a quasi 600 milioni di euro per non parlare del Manchester City che ha fatto un salto da 90 a 520 milioni di euro di fatturato.
Ripeto, al di là degli sceicchi o dei cinesi che dir si voglia, quello che è significativo è la lungimiranza dei dirigenti di queste realtà europee che hanno capito come sviluppare, nell’era della globalizzazione, il loro “brand” e cioè patrimonializzando l’impianto di gioco, l’area commerciale ed una serie di servizi aggiuntivi in grado di raggiungere e soddisfare le esigenze del proprio pubblico in tutto il mondo.
Tutto ciò lo scriviamo anche e soprattutto in ottica del nuovo stadio della Roma, che si dibatte ancora dopo anni in cavilli e pastoie burocratiche insopportabili.
È chiaro che il maggior impulso per mantenere una certa competitività con le grandi potenze europee è dato dalla crescita del patrimonio tecnico di una squadra; ma per quale motivo una città ed una squadra come la Roma, ma lo stesso discorso è estendibile anche alla Lazio, non deve poter “sfruttare” il proprio potenziale, il proprio appeal, creando affari e sinergie attraverso la storia della città? Avremmo la possibilità di attirare, come servizi aggiuntivi sopra citati, affari e situazioni che le altre città neanche si sognano.
Realtà come Manchester o Liverpool che sono piccoli centri con circa 500.000 abitanti, si sono però ingegnate per portare alle loro latitudini campioni e per aumentare i propri profitti su scala internazionale.
La nostra serie A, nonostante ritardi biblici sul rifacimento degli impianti e sull’attività di merchandising, presenta la Juventus con circa 350 milioni di fatturato, di gran lunga la potenza maggiore, guarda caso con un impianto di proprietà, e la stessa Roma, con le ultime presenze in Champions, è arrivata a superare i 200 milioni di introiti.
Mi viene da piangere a pensare che la Lazio a stento arriva a circa 90 milioni di euro di ricavi e fino a qualche anno fa se la batteva con la stessa Roma o con realtà come l’Atletico Madrid! Del resto se sono quasi dieci anni che non c’è uno sponsor o che il presidente è sempre molto più attento alla politica federale che ad altro…..
Staremo a vedere i prossimi sviluppi che vedranno ai primi di marzo l’elezione del presidente della Figc e della Lega di serie A; comunque il futuro del nostro calcio ha bisogno di manager giovani, che abbiano delle idee e che guardino al mondo nella sua globalità e non all’orticello dei semplici diritti televisivi che, tra l’altro, andranno in scadenza con l’anno 2018.