Roma, 20 luglio 2024
Domani si chiude la 111° edizione del Tour de France, la più grande manifestazione sportiva del pianeta dopo le Olimpiadi ed i Mondiali di calcio.
Ebbene esattamente 100 anni fa, il 20 luglio 1924, trionfava nell’edizione numero 18 del Tour l’italiano Ottavio Bottecchia.
E’ stato il primo azzurro a vincere la kermesse francese, primo corridore a vestire la maglia gialla dalla prima alla quindicesima ed ultima tappa, per un totale di quattro frazioni vinte e più di 5.400 km percorsi, relegando il secondo arrivato, il lussemburghese Frantz, a più di 35’.
Un ciclismo pionieristico con massacranti tappe, in alcune circostanze, da più di 400 km di distanza che partivano in nottata e con biciclette pesanti, senza ancora l’ausilio dei cambi automatici.
Bottecchia, veneto della provincia di Treviso, arriva tardi al ciclismo ed a trent’anni spezza il tabù dei mancati successi italiani al Tour, non Girardengo, non Binda.
Ribelle per natura, coraggioso, irriducibile, prova ne sia le tre volte che riesce a fuggire dalla prigionia durante i quattro anni della prima guerra mondiale, Bottecchia si dedica al ciclismo per evadere dalla miseria più nera.
Già dall’anno prima, nell’edizione del 1923, Bottecchia domina gran parte del Tour prima di arrendersi all’idolo di casa Pellissier ma con la consolazione di un nuovo contratto con la squadra francese Automoto.
E’ una svolta per Bottecchia che riceve un appannaggio di 3600 franchi l’anno per tre anni (in Italia si cantava “se potessi avere 1000 lire al mese…”) e di fatto non abbandonò più né i francesi e né il Tour.
Corridore potente, autore di “trenate” in grado di sgranare il gruppo e di aggredire le montagne con una micidiale progressione.
Bottecchia diventa il simbolo dei miseri, l’eroe della solitudine, l’apristrada a Bartali e Coppi.
Due Tour vinti, 1924 e 1925, con 34 maglie gialle totali contro le 23 del toscano e le 19 del Campionissimo.
La realtà contadina di Bottecchia lo rende innovativo anche nella condotta di gara e nella gestione dei rifornimenti fatti di banane, panini con marmellata, torte di riso, uova, tavolette di cioccolato e datteri in grande quantità per le tappe più lunghe.
Niente male per ammortizzare uno sforzo sovrumano su strade spesso infernali…
Ottavio Bottecchia, ribattezzato dai francesi Botescià, la mattina del 3 giugno del 1927 esce di casa di buon ora per un allenamento lungo.
E’ solo senza i suoi gregari e in una strada nei pressi di Gemona, in Friuli, cade.
Si rialza, si sdraia in un vicino campo e poco dopo viene soccorso da un contadino che lo trova intriso di sangue e privo di conoscenza.
Lo portano in ospedale dove gli riscontrano la frattura della volta e della base cranica, della clavicola ed una serie infinita di escoriazioni che lasciano pensare che non possa essere caduto semplicemente.
Ottavio Bottecchia, dopo dodici giorni d’agonia, muore il 15 giugno 1927 a neanche trentatre anni compiuti.
Una fine tutt’oggi avvolta nel mistero; chi parlò di ritorsione di una squadraccia fascista, regime che Bottecchia non apprezzava, chi parlò di scommesse gestite dalla mafia, chi di vendetta per una donna misteriosa.
Sta di fatto che Bottecchia, al di là del suo vissuto sportivo, a buon diritto appartiene alla storia d’Italia in un misto di eroismo, mistero e tragedia.
Le sue imprese, in quell’epoca, hanno dato speranza ai migranti a quelli con la valigia di cartone legata con lo spago che varcavano il confine sfidando l’ignoto, tra sogno e disperazione.
FOTO: Storia del ciclismo – Facebook.